giovedì 31 ottobre 2013

Da subito

Sii tu.
Sii la mia metà.

Sii tu la mia metà.
Sii tu quello che assaggia il sugo per dirmi se manca di sale.
Sii tu.
Sii tu a riguardarmi i lavori la notte prima dell'esame.
Sii tu a stringermi le mani nervose.
Sii tu a dirmi che tutto andrà bene.
Sii tu.
Sii tu a carezzarmi i capelli.
Sii tu a guardarmi negl' occhi l'attimo prima.
Sii tu a sapere il mio sorriso.
Sii tu a prendere in giro le mie moine.
Sii tu.
Sii tu a leggermi i libri ad alta voce.
Sii tu a raccontarmi le cose belle.
Sii tu a confidarmi le insicurezze.
Sii tu.
Sii tu ad avere più coraggio quando avrò più paura.
Sii tu a dividere con me il dentifricio.
Sii tu a correre con me mentre piove.
Sii tu a sentire le mie scuse quando avrò fatto tardi per farmi bella.
Sii tu.
Sii tu a scegliere il film mentre fuori piove.
Sii tu a mangiare i miei biscotti di domenica mattina.
Sii tu a mostrarmi quel che ti entusiasma.
Sii tu a contare le cose che abbiamo in comune.
Sii tu.
Sii tu a far fiorire il mio lato più bello.
Sii tu.
Sii tu casa.
Sii tu famiglia.
Sii tu amore. Senza bisogno di dirlo.
Sii tu.
Come solo tu sai fare.
Fammi compagnia.
Siediti qui.
Sii tu la mia metà.


lunedì 28 ottobre 2013

Anche i figli dei cani dormono abbracciati

Siamo bastardi, che vuoi che ti dica.
Nel cuore la strada e la pelle è più dura dove l'asfalto l'ha accarezzata.
Casa diventa, se dormi, con chi.
E per tenere per le palle questa vita che è un inferno, ti tocca metterti in ginocchio ed ingoiare.
È un attimo.
Sono sicura, te la caverai.
In questo sillogismo esistenziale la verità, tesoro, viene sempre a galla, esattamente come a galla sta la schiuma marcia straboccante dai condotti fognari.
Fatti i tuoi conti e se a filosofia non eri un genio, la soluzione è matematica, la verità è un colpo secco tra moccio e bava, impara a cavalcarla, montala fino allo strenuo, fatti una doccia, fumati una sigaretta e sarai già al giorno dopo, a un giorno in meno.
Sono sicura, te la caverai.
Adesso dormi, puoi stare qui, te lo prometto, non mi addormenterò se non ti addormenterai.
Terrò la tua mano stretta finché lo vorrai. Stanotte. Domani. Il domani dopo e dopo ancora.
Sogni d'oro eroe, sono sicura, te la caverai.

sabato 21 settembre 2013

Inatteso

A volte, anche se sei lontana, sei nel mezzo delle cose.
Puoi seguire la vita dove ti porta, e se anche ti porta lontanissimo, casa ti trova sempre.
L'amore non si spaventa con l'oceano.

- insomma alla fine sì.
-ti hanno preso?
-santo cielo sì mamma sì!
-ma è fantastico! cioè tristissimo ma fantastico!
-dai mamma, in aereo non ti ci vuole niente!
-oh ma che importa! vado subito a dirlo a tuo padre, ah aspetta è qui te lo passo
-sì sì passamelo, pino!
-amore
-pa' mi hanno presa, assunta, presa sul serio!
-oh tesoro mio che bello! e ora? quando torni? quando veniamo? andiamo vero?
-ma sì, ora mando tutto alla mamma così vedete un po' voi, anzi me la ripassi per favore?
-certo, amore sono tanto felice
-anche io tanto! mamma scusa una cosa
-dimmi tesoro
-stasera ho una... ma Elle? dov'è? me la passi? Le ho scritto ma non mi ha risposto, volevo dirglielo io e poi voglio sapere se viene a stare da noi, le ragazze la adorano, e dovrò prendere un nuovo armadio...lei e i suoi vestitini.
-amore, tua sorella è uscita ora, è andata al mare con quella sua amica, Pi, quella di università, sono a fare spese, vedrai che è distratta dai saldi, anzi ora la chiamo, che volevi sapere?
-sì, tanto le scrivo su skype... dicevo, ho promesso alle mie coinquiline che avrei cucinato io stasera, ecco hai ancora le tue ricette sul computer? sì quelle che dovevo impaginare, sì sì lo so, sì quelle, ecco mi manderesti quella della tua pasta, sì quella, ah. ah ecco perché sapeva di stoppa la mia, eh, avrei dovuto capirlo.
sì ho segnato tutto, ti chiamo più tardi, anche io, sì, sì. Sì mamma, ciao, sì, ciao mamma.

Cazzo sono dieci alle sette, ecco da qui per il market a sinistra giusto? seguirò il mio istinto.

-Effe sto arrivando, ti giuro che sto arrivando, non è colpa mia, qui le strade sono tutte uguali!
sì ho capito ci sono i nomi sopra ma non mi cambia un granché... sì certo che sono al market, sì, sì, di soya? sicura? ok, facciamo che chiami la pizza e la cena la spostiamo a domani? ah l'hai già chiamata, e a me hai preso? ah ma sei un amore, cioè non so se è un gesto affettuoso o una meritata sfiducia nel mio orientamento ma va bene, sì la so la strada, vai arrivo.

Dovrei scaricare le mappe di questa città. Con due tacche dovrebbe farcela.
app, aggiorna, download, vai.
Allora latte di soia, latte di soia...
Latte di mucca, di capra, con calcio, zero grassi, no, no, che schifo ma qui vendono il sangue di maiale in scatoletta? mavvìa...soia soia... forse è tra quelli a lunga.
Questo minimarket mi piace, queste mattonelle annisettanta mi fanno impazzire.
Ah la pasta! ecco! Oh, c'è barilla. Certo che sono proprio italiana.

-Certo che gli italiani si riconoscono dalla spesa.
-E dall'impicciarsi.
-Elle ma sei tu? Che ci fai qui?
-Ci vivo.
-Dai ma che dici? Da quanto?
-Sei mesi.
-Grande e che fai?
-Lavoro per l' esse di vi studio.
-Sul serio? Grande, complimenti!
-Già.
-Io sono arrivato ieri l'altro.
-Mh
-Sto con degli amici che fanno sperimentazione meccanica.
-Oh, interessante.
-Sì, molto, sì...ti vedo bene.
-Grazie.
-Senti ti va una birra? Andiamo qui di fronte..
-No grazie.
-Oh, sì mi sembra giusto.
-No grazie, non qui di fronte, il barista è un maniaco, ci ha provato con Effe e lei ha risposto rovesciandogli il martini sul viso di fronte ai clienti, lì siamo bandite...
-Oh, capisco, allora ti va una birra in un bar dove non sei ricercata?
-Conosco un posto qui vicino.
-Ottimo.
-Hai visto il latte di soia?
-Ecco, tieni.
-Da quando lo bevi di soia?
-Da quando quello di mucca mi ha quasi ucciso.
-Veramente?
-No non mi è mai piaciuto quello di mucca.

A volte, anche se sei stata lontana, sei nel mezzo delle cose.
Puoi scappare dai tuoi casini lontano quanto vuoi, ma i tuoi casini corrono sempre più veloci di te, e seguono la scia delle tue paure, anche se le hai sciolte nell'oceano.

-Insomma, dimmi qualcosa di te...sei cambiata tanto dall'ultima volta, hai i capelli lunghissimi.
-C'è scritto tutto su facebook e sono passati cinque anni, mi sono sempre cresciuti in fretta.
-Erano così quando ci siamo conosciuti?
-Il colore era questo.
-Gelida come sempre eh.
-È un trattamento esclusivo.
-Allora devo ritenermi fortunato.
-Avresti già dovuto.
-Lusingato lady, lusingato. Altro giro?
-Perché no.
-Di tutte le persone che pensavo di incontrare, tu proprio non avrei..
-Non sapevi fossi qui?
-Sì lo sapevo, un po' speravo di trovarti.
-E perché mai?
-Non so, facevo la valigia e ci ho infilato un paio di libri e uno mi ha fatto pensare a te, e pensavo che magari qui, lontano da tutto, se mai ti avessi vista, sarebbe stato diverso...più
-falso?
-sincero, stavo per dire sincero.
-Non l'avrei mai detto. Scusi, posso avere quel pacchetto di pistacchi? e due cosmo, grazie.
-Te lo ricordi ancora?
-Che cosa?
-Che amo i pistacchi.
-No, io amo i pistacchi, li ho presi per me.
-Ma che dici? Lo sanno tutti che sono l'amante per eccellenza dei pistacchi, te lo ricordi benissimo.
-Non so di che parli, li ho sempre amati io, da prima.
-Impossibile.
-Ok, da prima di conoscerti, da prima di conoscerti.
-Accettabile ma non ti credo.
-Come vuoi. Il resto però te lo ricordavi.
-Che cosa?
-Il cosmo.
-Sì, un uomo così pieno di sé che prende un drink rosa in coppa martini è un'immagine difficile da scordare.
-Girala come vuoi, ma non mi hai pensato meno di quanto non abbia fatto io con te.
-Che bastardo.
-Ti scaldi?
-Tre drink e la mia educazione cattolica va a farsi benedire.
-E al quarto che succede?
-Da che parte è casa tua?
-E al quinto?
-Domani in prima pagina?
-Accidenti, non sapevo di essere così bravo.
-Non tu per la tua performance, io, io.
-Per cosa?
-Omicidio.
-Mh, direi che abbiamo bevuto abbastanza.
-Stavo scherzando, e non usare certi avverbi con me.
-Abbastanza è proprio una parola orrenda eh.
-Non l'ho mai amata, abbastanza.
-Non l'ho mai amata e basta.
-È così che si dovrebbe dire, cara, non ti amo più, addio, non "ti amo sì ma non abbastanza". L'amore non è una roba tipo il sugo sulla pasta che dici che "sì è abbastanza" è una condizione d'esistenza, è come il buio, esattamente come il buio.
-Come il buio?
-Sì, come il buio. Quando c'è, non lo misuri.
-Ti va di fare due passi?
-Sì
-Saltelli lo stesso.
-Non si può cambiare del tutto.
-No ma... ok stavo per ridirlo.
-Tranquillo, sapevo già che eri un pessimo individuo, ma sei abbastanza tollerabile.
-Colpito e affondato.
-Insomma che ci fai qui?
-Te l'ho detto, sto aiutando degli amici che...non mi interessa parlare di questo.
-Ma ti interessa parlare di cosa?
-Mi interessa parlare di quanto è bella questa città, di quanto è strana la vita, di quanto, se possibile, le persone siano ancora più strane, di quanto ti stia bene questa montatura per gli occhiali, di quanto, se possibile, questi jeans ti stiano ancora meglio e del pezzo che ho scritto preso dal cuore che mi scoppiava nel petto quando ho capito che era tardi, di quanto ti ho detestata, quante volte ti ho sognata, quante avrei voluto
-Sta zitto.
-Come?
-Sì, sta zitto, sei un idiota e se c'è una cosa che non mi piace sono gli idioti.
-Hai anche ragione
-Cristo cos'è questo tono sorpreso?
-Stupida
-Stronzo
-È il tuo palazzo questo?
-Sì
-Domani lavori?
-Fino alle sei.
-Alle otto, vengo a prenderti e
-No, non puoi venire a prendermi
-Ah, d'accordo..
-No, ho promesso che avrei cucinato io, non puoi venirmi a prendere ma puoi salire.
-Allora a domani sera, è stato bello vederti.
-Abbastanza.
-È bello stare dove succedono le cose.
-Buonanotte.
-Buonanotte, alle otto.
-Alle otto.

-Ce ne hai messo, l'hai dovuta mungere?
-Cosa?
-La mucca.
-Ah. certo ora per un'eco iniziativa te la fanno mungere direttamente al market.
-E com'era?
-Di tofu ovviamente.
-Stupida
-Va bene questo?
-Sì è quello giusto! Perché avevi il telefono spento? mi hai fatta preoccupare
-Si dev'essere spento mentre scaricavo le cartine, aspetta il caricabatteria?
-Mensola bianca, cucina, accanto alla tua pizza.
-'Azie. Accenditi...
-Notte
-Notte Effe, domattina ti sveglio?
-No no no no no
-Ok, Ah domani sera...
-Eh
-Porto un amico
-Chi chi chi
-Vai a letto, ho venti chiamate di mia mamma, domani ti spiego, notte

Vorrà sapere se ho cucinato bene la sua pasta.

-Pronto mamma, ho visto le chiamate, la pasta poi la faccio do
-Elle
-domani
-un incidente


A volte, anche se sei lontana, sei nel mezzo delle cose.
L'oceano non fa barriera alla tempesta.

sabato 14 settembre 2013

Il gusto del sangue.

Il sapore ferroso e salato tra lingua e denti.
Vedo la faccia del tipo che ha telefonato al centodiciotto ruotare ruotare ruotare.
Eppure son quasi convinta di essere ferma.
Sdraiata.
L'asfalto è più morbido di come non sembri, è quasi comodo, vorrei dormire, ma la ragazza gotica del negozio qui a fianco mi schiaffeggia e mi dice che devo star sveglia. Ma chi sei gotica ragazza? Chi ti ha mai visto? Io ho sonno e se anche annuisco, tra cinque minuti sono in fase rem.
Che poi non mi sono fatta niente, sì magari da fuori la scena è anche truce ma non sto così male.
Sento le mani, i gomiti, le ginocchia entrambe e riesco a muovere le dita dei piedi.
Me l'hanno insegnato quando volevo fare la ballerina, a fare il check delle giunture.
Forse avrò delle cicatrici, forse avrò bisogno di una nuova bici.
L'unica cosa che mi scoccia da matti è dirlo a mia mamma che è da quando ho tirato fuori il lucchetto buono, ogni giorno mi parla di tragedie causate da assenza di piste adeguate, pirati, disattenzioni eccetera eccetera eccetera.
Il ragazzo dell'ambulanza è carino, fingerò che afferrandomi non mi abbia fatto più male della ceretta brasiliana di questo venerdì, abbozzo un sanguinario sorriso.
Mi piace il gusto del sangue.
La barella è più scomoda dell'asfalto e l'unica cosa che davvero mi preoccupa è sapere dove sia la mia amata borsa di pelle. È lo stesso modello di quella mia amica danese e vegana. Com'è che una bistecca no ma una Hermes sì, non lo so, ma va bene lo stesso, alla fine la coerenza, a me che ho tre o quattro caratteri diversi, è un argomento che non interessa.
Lui che bacia lei qui nel rientro del negozio di scarpe invece sì, mi interessa.
Lui che non è lui e lei che invece è lei.
"Non si muova signorina" mi dice il mani di fata mentre mi sposto i capelli appiccicosi dal viso.
"Stia ferma con quelle mani" continua e quasi mi strapperebbe le risposte di bocca se solo non fossi distratta e voltata per esser sicura di quel che tutti potevano guardare ma che io potevo vedere, malgrado i capelli incrostati.
Il sipario dell'ambulanza si chiude con un rumore non abbastanza forte da distrarmi.
Rispondo lenta alla ragazza che mi chiede inutilità e che pensa che abbia preso un troppo forte colpo alla testa e non sa che sì un bel colpo l'ho preso ma non dove dice lei.
Non so nemmeno come sentirmi.
Lui.
Mi fa un po' pena, un po' tristezza, e in parte credo gli stia proprio bene.
"No non so il mio gruppo sanguigno"
Poi lei, che ho guardato invidiosa pensando che avesse chissà poi che cosa più di me, meno di me,
"No non l'ho mai saputo, non l'ho scordato, e questo coso mi fa male"
meglio di me, che ho minimizzato, etichettato, detestato, giudicato senza mai trovare pace.
"Ma ce l'ho sempre la pressione bassa, stia tranquilla"
E le notti, dio mio quante notti passate a chiedere a nessuno perché io non fossi giusta, perché non andassi bene abbastanza.
"Non c'è bisogno della sirena, sto bene"
E cosa ci sarà in quest'altro che lui non ha? E poi, perché accidenti sento dispiacere? È karma, io non c'entro niente.
Detesto il pronto soccorso.
C'è sempre da aspettare.
Ora aspetto perché mi dicano che sto bene.
E non è che posso aspettare fumando una cicca al bar qui davanti.
Devo farlo qui, tra una cretina con un'ustione di terzo grado fatta con l'arricciacapelli e un ragazzino che checazzo che schifo, dio mio se proprio deve vomitare esistono i bagni.
Le ore si perdono tra la noia e il cervello intontito dal botto. Dai botti.
Mi sento come quella volta, alla vendemmia, dopo aver vinto a dama al bicchiere.
Era giorno quando il ragazzo della barella mi ha quasi fatta cadere inciampando sulla salita dell'entrata.
È ora di cena. Ho fame. Sento mia mamma qui fuori che chiede di me ma non può vedermi, il bambino che vomita è uno spettacolo di esclusiva visione.
"Dottore sto bene, posso andare?"
"Sì può andare ma il tutore al ginocchio lo deve portare per un mese intero e torni tra due settimane per rimuovere i punti."
Niente di grave, l'avevo detto, ma qui nessuno mi dà mai retta.
L'avevo detto che stavo bene, malgrado il sangue, malgrado gli strappi.
L'avevo detto che stavi bene, malgrado gli sbagli e le sviste totali.
Lo so che brucia, che fa un male cane, che meglio morire dell'infermiera che cuce i lembi strappati di cuore, di pelle, a suono materno di "tesoro mio, te l'avevo detto".
Non ho mai pianto.
Nemmeno adesso, che zoppicando ti ho aperto la porta perché vuoi parlare con chi può capire il sentirsi schiantati così un giorno a caso, in una via del centro, tra il negozio gotico e quello di scarpe.
Metto su il bollitore.
"Così va la vita ma te la caverai, si sbaglia, alle volte, nel valutare."
Annuisci, ricordi, non seguo il filo, e non voglio di certo esserti cerotto, sto per dire che sì "mi dispiace" e mi mordo, per sbaglio, tra il labbro e la guancia.

"Sai di sangue, il sapore ferroso e salato, lo sai che mi piace."

giovedì 29 agosto 2013

Audentes Fortuna iuvat

Avete presente quei giorni in cui, per una rara combinazione di eventi, succede qualcosa di assolutamente inaspettato e bello?
È necessario specificare bello perché sono convinta che dando una veloce sfogliata ai ricordi i primi cinque episodi con effetto sorpresa che affiorano sono tutto meno che belli.
È così, ammettiamolo, siamo una generazione di disgraziati soggetti più che mai alle leggi avverse del destino, ripudiati dalla fortuna, esclusi dalla positività retroversa bonus del karma.
C'è da dire che, malgrado le avversità e il solito andare storto del quotidiano, non perdiamo mai la speranza. Si dice che la speranza non sia che il più succulento tra i manicaretti dello spiedo luciferino perché niente può ferire più profondamente di un seme che nasce dal più intimo sussulto del tuo cuore e che tu stesso coltivi con cura e devozione.
Forse è così che si arriva, in un giorno qualunque, a non sperare più niente.
-Così va la vita- ti ripeti ad ogni inciampo.
-Così va la vita- ogni volta che ti calpestano il cuore.
-Così va la vita- un mantra.
Ed è in questi momenti qui, dove la messa a fuoco sta sui punti deboli, sulle parti da risanare, sul lavoro, lo studio, la fatica, in questi momenti in cui a tutto si pensa eccetto che alla propria serenità, ecco è proprio in questi momenti che la fortuna ti piomba addosso.
Violenta come una farfalla.
Per un attimo resti incredulo, le gambe tremano, tocchi con mano la certezza che tutto si sistemerà, che è sempre giusto sperare e credere perché prima o poi la vita paga il conto lasciato in sospeso per tutto questo tempo di sacrifici.
E la famiglia si stringe tutta, e ci si vuole bene, più bene di sempre.
E sogni.
Oh quanto sogni e per la prima volta il domani non ti terrorizza, per la prima volta lo attendi a gloria. E non trattieni le lacrime. E non trattieni il sorriso.
E ringrazi.
Grazie dio.
Grazie vita.
Grazie a tutti.

Stop.
Nero.
Stava scherzando.
Chi? Chi scherzava?
Chi, chi, chi scherzava?
Dio, la vita, tutti, tutti scherzavano.

Lo spegnersi del bagliore negl'occhi di mio padre.
L'allentare piatto del sorriso di mia madre.
Questo è il dispiacere.

Avete presente quei giorni in cui, per una rara combinazione di eventi, succede qualcosa di assolutamente inaspettato e bello?
Noi no e se c'è qualcuno da ringraziare è solo la vita, e per averci dato dritta nei denti, l'ennesima prova della propria durezza.

Noi siamo così.
Siamo una famiglia di disgraziati soggetti più che mai alle leggi avverse del destino, ripudiati dalla fortuna, esclusi dalla positività retroversa bonus del karma.

E nonostante questo ci speriamo sempre.
E ci vogliamo sempre un gran bene.
Forse un po' di più.

mercoledì 14 agosto 2013

Un momento

A volte mi rammarico di non avere una vita abbastanza tragica.
Inciampare nei marciapiedi, sugli scalini, tra i cuori delle persone, col rischio e la paura di pestarli, di pestarsi, è abbastanza? È davvero sufficiente ad accendere l'entusiasmo nella profondità degl'occhi che ho di fronte? A volte penso di no.
Penso di no e mi sdraio sul letto con gli occhi fissi oltre la vasistas.
Sdraiata sul letto, posso vedere le stelle dalla mia finestra.
Anche cadenti.
Anche cadute se mi volto indietro.
Sono una ragazza fortunata.
Non che mi siano mai capitate grandi incredibili coincidenze feconde e nemmeno che il tempismo delle cose della vita mi abbia mai sorriso, ma di partenza, di base, sono grata per quel che c'è, quel che ha passato il convento, quel che sono.
Già questo sento che in fattore empatico comunicativo non è il top.
Non ho un dramma dentro. O dietro.
Sono una ragazza fortunata, per la vasistas.

Una volta qualcuno disse che sono una strana bestiolina che saltella tra superficialità e abisso, sotto una gran massa di capelli.
Non era un complimento, non era un'offesa, era una nota di un'ipotetica pagina di wikipedia o, più realisticamente, di un trafiletto di giornale titolato "Giovane ragazza affoga bevendo a bottiglia"
-Era tanto una cara ragazza- concludeva l'articolo, appena sopra il riquadro pubblicitario di un dentifricio per denti sensibili.

Un'altra volta qualcuno disse che dormire con me era come dormire con una modella di peluches, un peluches a cui piace il sangue.
Questo forse era un complimento.

Un'altra volta ancora, qualcuno, disse che le statistiche affermano che masticare il ghiaccio è indice di predisposizione a sociopatia, psicopatia, bipolarismo, disturbi della personalità, disagio mentale e talvolta anemia.
Questo era un complimento, forse anche un buon motivo per acquistare un dentifricio per denti sensibili.

A volte mi rammarico di non avere una vita abbastanza tragica.
Ho delle sbucciature sulle ginocchia del cuore, qualche segreto e un resto in spiccioli di tristezze di rame ma niente che mi faccia meritare l'applauso commosso della platea della vita, mentre racconto la mia storia sotto un occhio di bue, seduta su di un panchetto da bar in legno e vimini.
Mi piacciono i panchetti da bar in legno e vimini, ne ho uno in casa su cui mi piace sedermi a suonare male la chitarra, canticchiando un francese a tratti storpiato.
Mi piacciono i panchetti da bar in legno anche se il vimini mi lascia lo stampo dell'intreccio sulle cosce e i glutei.
È sufficiente questo ad accendere l'entusiasmo nella profondità degl'occhi che ho di fronte?
A volte penso di no e mentre penso di no suono un giro blues, sprofondando nei cuscini del divano col culo indolenzito dal vimini. È un pezzo di Muddy Waters ma il testo è una variabile di mio pugno.
Come dopo l'amplesso mi accendo una sigaretta tenendola ferma coi denti e aspirando il minimo sindacale, solo così mi riesce, e questo è l'inserto 7 con allegato fotografico, della rivista sulle mie stranezze, accanto al conservare le bustine intatte di zucchero di alcuni caffè presi nei bar, testimonianza allegata invece in dvd.

Una volta ricevetti un regalo bellissimo, gratuito ed inatteso come una sorpresa, incredibile come un desiderio di quelli che confidi, semmai, a qualche stella ma piano, mentre stai per addormentarti tra le lenzuola d'agosto. Non era una scatola impacchettata, era un momento.
Forse immortalato in qualche foto chissàdove.

Un' altra volta ricevetti un regalo bellissimo, un regalo da cogliere come un fiore, come una palla al balzo, come un sorriso bello in un viso bello di una persona bella.
E lo lasciai lì, come si fa con gli ombrelli a scuola, col boccaglio sulla spiaggia, con la sciarpa, a volte, sul treno.

Un'altra volta ancora feci un regalo. C'è qualcosa di magico nel fare i regali, pensare a cosa possa rendere felice una persona ed impiegare cura e tempo nel trovarlo. Era un regalo bellissimo, non era una scatola impacchettata ma lo lasciai lì, insieme alla sciarpa, prima di scendere dal treno.

A volte mi rammarico di non avere una vita abbastanza tragica.
Perché alla fine vorrei spezzarti le ginocchia con in dramma che ho passato e vorrei, giuro che vorrei spezzarti il fiato a metà polmone tagliandoti con la più cruda sincerità.
Vorrei che il tuo starmi a sentire ti rendesse languido, molle e uomo.
E mi guardassi nuda come ti sono sempre stata accanto e mi vedessi bella da morire e ti vedessi perso senza.

Ma i segreti restano dove sono sempre stati.
A masticare il ghiaccio guardando oltre la vasistas.

mercoledì 31 luglio 2013

Lettera a G

Perché non mi scrivi una lettera a casa
e la imbuchi in quella via del centro
E scrivici solo le storie più belle
e che hai fatto in questi lunghi giorni.
E dimmi se hai pianto, ti sei divertito, hai giocato, hai bevuto
i sogni sogni che hai fatto e cosa ti ha tenuto sveglio.
Raccontami il sole che ti ha un po' scottato e la cotta per quella ragazza.
E non fa niente se le hai raccontato l'aneddoto sciocco che ci fece ridere una notte intera.
Perché non mi scrivi una lettera a caso
e la fai grande per tutto il tuo foglio.
Non le mie iniziali, nemmeno le tue,
fanne una che dica qualcosa.
sia qualcosa di buffo, anche un po' originale
niente di elaborato, magari un'accento speciale.
Niente rime ti prego, sai che non le sopporto
in realtà non è vero, mi piacciono ma solo a volte.
Perché non mi scrivi una lettera a casa
Con la penna nera e gli errori con un rigo sopra.
In una busta gialla di quelle di carta e spruzzala tutta col tuo deodorante
che non so se usi poi una colonia.
Se la usi mi sa che va bene lo stesso
anche se immaginarti a spruzzare una carta, devo ammettere che mi ha fatto sorridere.

Perché non mi scrivi una lettera e basta e mi dici quello che hai già detto.
Ancora una volta
Niente di speciale
Un momento qualunque
Quei cinque minuti giusto un attimo prima che ti debba alzare.
Rubati un po' al sonno, prima dei tuoi dovrei
Rubati un po' al sogno che non ti ridarò indietro.
Ma va bene lo stesso una pagina bianca
Quel che importa è il francobollo per la collezione.

domenica 28 luglio 2013

due estati fa

La morte non è niente.
Niente che ci tocchi più di nascere.
Un momento perso in una memoria che non c'è.
Nella memoria di chi resta, invece, restano tutti i segni.
Qualcuno ti chiama ancora, cercandoti sulle scale sul retro la casa del popolo.
Sarà per sempre.

sabato 27 luglio 2013

Debolezze di stomaco



Certo ne ho preso uno stamattina e il mal di testa mi è passato, ora ho solo la nausea.
No. No. Certo che sto attenta, sì mamma attentissima. No, sì lo so che saresti contenta ma no.
Sicura. Mamma, ti giuro che semmai decidessi di farmi incastrare da un uomo sfornandogli un figlio saresti la prima a saperlo ma per ora ho solo l'influenza.
No, scusami, è che è stata una giornata lunga, questa settimana ho tre consegne e detesto la nausea.
Devo andare, la lavatrice sta bippando, ci sentiamo domani, tivogliobenebuonanotte.

Si è rotta due settimane fa, la lavatrice.

Scoppio a piangere.
Ci sono io, in mutande, seduta sul cesto dei panni da lavare, coi gomiti sulle ginocchia, i palmi sugl'occhi, i capelli tutti sopra.
Piango.
Come tutte le donne, meno di alcune, più di alcune altre.
Ho il ciclo ma avrei pianto comunque, magari non singhiozzando ma sì.
Una mosca mi si posa su una coscia e si annoda le zampine. Prima quelle davanti e poi quelle dietro. Le intreccia in quella posa da complotto.
La scaccio.
Si riposa nello stesso punto della coscia e questo mi fa piangere in un singulto più intenso e mi fa ridere, ridimensiona la drammaticità e ne accentua la tristezza.
Una mosca.

Ma vaffanculo.

Mi alzo e vado in cucina.
Apro il frigo, prendo il cartone di latte di soia e mi siedo sul tavolo.
Sì mi sento trasgressiva e infatti lo bevo dal cartone con il broncio ancora in bella vista.
Tossisco appena.

Avevo sedici anni quando mio cugino, mezz'ora dopo avermi servito il mio primo Long Island mi disse, guardandomi negl'occhi, che se non volevo passare la vita nella nausea, la soluzione era nelle mie mani. Letteralmente.

Ciondolo nel corridoio e passo le dita sui bordi delle cornici appese.
Devo decidermi a toglierla questa foto del campeggio, penso, poi mi fermo a guardare la teca della mia collezione.
Quattro farfalle spillate, ognuna con data e nome, ognuna rarissima, irripetibile, a suo modo.
Detesto gli insetti, i lepidotteri mi danno letteralmente il voltastomaco.

Avevo cinque anni, ero una bambina solitaria, silenziosa, affascinata.
Stavo seduta sugli scalini del giardino della scuola quando mi si presentò la prima della serie. Violenta.
La guardai con la coda dell'occhio, con un gesto posato e maldestro la presi.
Le sue zampe che si muovevano mi contorcevano lo stomaco.
Le sue ali erano bellissime.

Non vado a caccia di farfalle. Non ho nessun retino.
Quando loro vengono a cercare me, io le metto al loro posto.
Funziona così.

Sono in bagno, e la luce dello specchio mi dà un colorito bluastro che accostato alle occhiaie del giorno mi fa sembrare una tossica da ghetto.
Su questa canottiera c'è una macchia di dentifricio.
Tutta la vita che mi lavo i denti, deve ancora arrivare la volta che ne esca incolume.

È il momento della resa dei conti.
Il latte di soia freddo di frigo non è stata un'idea luminosa eh.
Mi lego i capelli.
Il futuro è nella mia mano destra.
Un respiro.
Indice. Medio.
Giù.

A vuoto.

Riproviamo.

Ancora.

Quasi.

Ancora.

Ci siamo.

Il latte di soia fa un vortice nel lavandino.
Mi sento meglio ma mentre mi tiro su per sciacquarmi la faccia, qualcosa risale su per l'esofago.
Che cazzo, mi si pianta in gola, i muscoli tirano, sto ipersalivando e mi si spezza il fiato.
Tossico.
Sputo.

Tiro fuori gli spilli.
Ecco la quinta.

sabato 13 luglio 2013

Non sono speciale

Sono la seconda figlia di tre.
La seconda figlia di una terza figlia.
Mia sorella più piccola è la prescelta.
L'altra sorella è più grande di me.
Sono cresciuta nell'attesa che arrivasse il momento per la mia piccola sorella, di salvare l'intera razza umana dallo sterminio.
Mentre l'altra sorella già lo faceva da prima e meglio, a quanto dice.
Mia sorella maggiore è stata capitano della squadra di pallavolo del liceo fin da quando era una matricola.
Mia sorella minore è la prescelta per salvare l'intera razza umana dallo sterminio.
Io ho le cosce tornite e sono negata per gli sport.
Mia sorella maggiore ha conosciuto il suo ragazzo al quarto anno, lui era il primo della classe e il capitano della squadra di calcio, faceva il modello per occhiali da sole per arrotondare, ora sono in viaggio di nozze a Parigi.
Mia sorella minore che è la prescelta per salvare l'intera razza umana dallo sterminio, sta con un superdotato genio del calcolo numerico conosciuto mentre veniva presentata in quanto prescelta, alla commissione segreta della sicurezza interna. Superdotato in vari campi, ci tiene a sottolineare la prescelta.
Io sono uscita per un po' con un ragazzo di cui mi sono innamorata giusto un paio di giorni prima che lui incontrasse la donna della sua vita.
Per questo natale mia sorella maggiore ha ricevuto un appartamento in centro dove andrà a vivere con suo marito nonappena sarà tornata.
Mia sorella minore un libro che la mia famiglia si tramanda da secoli contenente tutto lo scibile immaginabile ed una serie di incantesimi ancestrali, in coordinato ad un preziosissimo anello tramandato dallo stesso tempo.
Io un abbonamento per la palestra.
I miei genitori mi vogliono bene eh, ed io ne voglio a loro.
Solo che la cosa più importante che so non me l'hanno insegnata loro ma Vanda, la nostra dirimpettaia anzianotta che a volte mi ha fatto da babysitter.
Mi ero sbucciata un ginocchio tentando di emulare la mia sorella maggiore quando fa punto.
E mentre mi asciugava i lucciconi tenendo premuto il cotone imbevuto d'acqua ossigenata sul mio ginocchio mi disse

"Ragazzina, la specialità di alcune persone sta nel non avere proprio niente di speciale"

Io spalancai gli occhioni e piansi tutto il pomeriggio, attaccata alla gonnellona variopinta del vestito di Vanda.
Oggi, mentre mia sorella maggiore è a Parigi a sorseggiare Champagne in compagnia della sua dolce metà e mia sorella minore è a ricercare il quinto simbolo di non so cosa nel mezzo del deserto dei Gobi, io ho appena premuto "start" alla mia cena nel microonde e penso a Vanda, signora della spremuta d'arancia e delle schiacciatine alla mortadella, lei sì che era speciale.






martedì 9 luglio 2013

4 luglio

Stavo camminando col mio amico verso piazza alberti.
Mi fermo di fronte a quel negozio d'arredamento bagni per specchiarmi al lavandino e vedere se questi pantaloni mi stanno aderenti come dovrebbero, ma con discrezione, stando a telefono.
Ho gli occhiali appannati ma ho troppe cose in mano per potermeli togliere e passarci il tergilenti o un lembo di maglietta.
Incontriamo un amico comune ed io mi volto consapevole che tu stai arrivando in bicicletta.
Detesto incontrarti. Vicino a casa mia poi mi risulta insopportabile.

Mi passi accanto e mi dai una pacca leggera alla quale rispondo con un poco convinto sorriso.
Mi volto di nuovo verso lo specchio.
Ecco l'ennesimo pomeriggio rovinato da un chiodo piantato secco in mezzo al cervello.
Vedo che torni indietro e allucchetti la bici.
Vieni verso di me e mi chiedi se ho un secondo, devi dirmi una cosa, se posso.
Ed io ti dico sì, con la stessa velocità di uno scatto in sequenza movimento preso con la macchina che ho al collo.
Complimenti per la resistenza.

Camminiamo

-Nonostante non mi discosti da ciò che ti ho detto, volevo dirti che in queste settimane non ho compicciato niente, non ho nemmeno finito io il progetto perché, di fatto, questa situazione con te mi ha scocciato.

-Nonostantenontidiscostidaciòchemihaidetto è proprio una premessa del cazzo.
È per ciò che mi hai detto che poi un discorso così non devi farmelo mai a meno che non ti discosti dal ciò di cui sopra.
Capisco il tu egocentrismo, e ne apprezzo la profondità, ma in questo caso gira in senso contrario al mio che per me ha la precedenza.
Cioè, alla fine, perché me lo hai detto?

-Perché lo penso, perché sento la mancanza dell'abbracciarti, dello starti vicino, del camminarti accanto mentre saltelli.
Di baciarti.

Tua l'iniziativa, mia l'arrendevolezza.
La schiena contro il muro.
Le mani intorno al viso.

Complimenti per la resistenza.

Passa una signora che conosco e dice che il mio ragazzo se lo ricordava diverso.
È estate, tempo di svolte. Rispondo io e tu mi prendi per mano e mi dici tra il serio e l'idiota:
Così cambi ragazzo con le stagioni...

No ho un solo ragazzo, non ho il multitasking. Io.

Tu sorridi e raggiungiamo i miei amici che si sono spostati su un prato che non mi ricordavo ci fosse.

È il 4 luglio e ti guardo scherzare tra l'erba.
È il 4 luglio e non sono mai stata tanto vicina all'esser felice.
È il 4 luglio, il giorno in cui la terra è più lontana dal sole.

L'estate è già finita


venerdì 5 luglio 2013

Gratuito


Tu sei stato così immeritato per me.
Al di là del bene e del male.
Non aspettavo che te ed avrei pagato tutto pur di non incontrarti mai, neppure per caso.
Immeritato per quanto mi hai resa felice.
Immeritato per quanto mi hai fatto male dopo.
Non meritavo che finissi nel modo più perfetto le mie frasi.
Non meritavo di starti nuda accanto.
Non meritavo di ascoltare il tuo respiro nel cuore della notte.
Non meritavo di baciarti con gli occhi chiusi.
No.
Non meritavo quel tremore delle mie ginocchia esattamente come non meritavo la tachicardia prima di voltare l'angolo dietro cui sapevo mi aspettassi.
Non meritavo l'attesa al display nero del telefono.
Non meritavo che non ti innamorassi.
Almeno quanto me.
Respirare come si respira sott'acqua.
Ogni volta che ti vedo.
Respirare come si respira sott'acqua.
Ogni volta che non ti vedo.
Respirare come si respira sott'acqua.
Come si respira sott'acqua?

non si respira

domenica 23 giugno 2013

Fosse MD

Come stai?

Insomma

Che ti ha detto il medico?

C'è scritto lì.

Stimolazione del sistema nervoso centrale, euforia, entactogenesi, senso di felicità diffusa, illusione di grandi legami emotivi con cose o persone sconosciute
Possibili effetti indesiderati sono irrequietezza, confusione, iperriflessia, mioclono, convulsioni, midriasi, piloerezione,panico, secchezza alle fauci e nausea.
Ma che cazzo hai preso?

Una cotta.



Fosse MD potrei smettere.

senza titolo

Ci sei tu, che hai una vocazione, una passione.
Tu che ti fai in quattro per andare fino in fondo a questo bisogno che senti.
Tu, che hai avuto coraggio e che sei cambiato tanto o forse solo cresciuto, e ti sorprende che ti sia piaciuto.
Tu, che quando fai qualcosa che ti piace non c'è bisogno di parole.
Tu, che sai stare nel mezzo delle cose tanto quanto un po' più in là, guardando altrove.
Tu, che sei in guerra tutti i giorni e ti accorgi che quel fiore vuol dire primavera.
Tu, che torni a casa da eroe stanco, sconfitto a volte, e mi guardi ogni volta come fosse la prima, come fossi la sola.

Poi ci sono io.
Io che devo seguire cosa mi fa battere il cuore.
Che inciampo se cammino e non corro ma saltello.
Io che potrei annegare in un sorso d'acqua e nuotare in mare aperto in piena notte per lo stesso motivo.
Io coi miei silenzi trasparenti, coperti da sciarpe di parole.
Io che amo imparare ma studiare mai mi piacerà.
Io che tutto e tutto il contrario.
Io, madrina del brillio negl'occhi d'entusiasmo e malinconia.
Io, che torno a casa a mettere i cerotti sulle ginocchia dei miei sogni e ti preparo il caffè mentre ti siedi.

Mi dai un bacio, mi porgi un fiore e mi dici che è di nuovo primavera.

venerdì 21 giugno 2013

Altrove

Ho visto l'alba arrivare tra la magnolia e l'abete del mio giardino.
Stanotte non riuscivo a prendere sonno, ad un certo punto mi sono alzata.
Sono andata in cucina, ho aperto la portafinestra, mi sono seduta sugli scalini e mi sono accesa una sigaretta che non so fumare.
Momenti di una qualità estetica degni di Anderson.

In pigiama, coi capelli isterici, lo sguardo verso l'oltre, qualche colpo di tosse e un po' di freddo.

Non sapevo se sentirmi bella da morire e profondissima o incredibilmente stupida.

Tutte e due, come sempre.

Nel frattempo P, un vecchio gatto che svariati veterinari avevano dato per spacciato in molte più occasioni di quante le sue vite feline gli avrebbero potuto permettere , sbraitava nell'erba vomitando un groviglio di peli.

Stavo pensando a questi giorni in cui sto valutando l'ipotesi di non avere un cuore.
O se proprio devo averlo di averlo messo altrove.
Così altrove da non sentirne nemmeno un'eco lontanissimo, appoggiando l'orecchio per terra, come gli indiani d'america nei film che piacciono tanto a mio babbo.

Alla fine che palle questi sentimenti, che palle questo amore.
Non sono pessimista, non sono ottimista, non sono nemmeno indifferente.
Sono altrove, l'ho detto no?
Altrove.
Ecco.

Mi accendo un'altra sigaretta e mentre decido se far colazione prima delle sette, mi rendo conto che da qui, da questa sconosciuta mattina, da questo altrove dove sono, posso ricordare benissimo le cose state.

E allora ecco.
Questo amore è una roba che a volte ti trovi davanti, come un elefante seduto in un vicolo di paese, che sta tutto dentro una persona, sensibilmente più piccola del suddetto elefante.
E non lo puoi vedere questo elefante, lo puoi solo sentire, anche se non barrisce.
Lo senti quando appoggi il palmo della mano sul palmo della mano di questo qualcuno, o immagini di farlo in certi casi, e quella sensazione lì ti fa credere che potresti rinunciare per sempre all'uso di quella mano, che alla fine puoi fare tutto con la sinistra anche se non sei mancino perché quella mano lì sta bene proprio dove sta. Intrecciata alla mano della persona che si è nascosta l'elefante sotto la maglietta.
E andrà tutto bene, malgrado tutto il resto.

Vada per il latte di soia e vediamo se riesco a farmi un caffè che non sappia di liquirizia.

Se fosse tutto qui sarebbe anche semplice, uno attinge a questo amore che circola di base nel mondo, trova l'elefante e ciao.
Ma il mondo non è un vicolo di paese, è una strada di periferia, dietro la stazione, retro di locali malfamati, e dopo una certa ora non ci arrivano nemmeno più i taxi.
E le persone sono disastrate, piene di schermi, maschere, paure, ferite mal cucite, altre storie, altre esigenze, convinzioni, buchi neri, paranoie, cazzate.
Quindi non sempre se trovi un elefante nel mezzo della strada, puoi fermarti.
E tra il buio, il fumo, lo sguardo basso per evitare di incrociare quei brutti ceffi all'angolo, magari passi accanto al tuo elefante e nemmeno te ne accorgi.
Oppure lo riconosci laggiù, dentro la stazione, dall'altra parte del binario, e dio solo sa quanti nomi ha quella dannata riga gialla.
È un mondo pieno di amori che sarebbero potuti essere, pieno di occasioni perse, di coraggio mancato, di ruoli non compresi e situazioni in stallo.
Un mondo pieno per metà di chi fa un passo verso qualcuno fermo che aspetta o muove il passo verso altrove.

Il mio regno per dei biscotti.
Possibile che i miei facciano colazione coi plumcake? Mai una gioia.

L'alba si è fatta mattina sull'abete e la magnolia, è estate.
La sveglia dei miei ha suonato, questo vuol dire che ho un'altra chance per prendere un caffè che non faccia piegare il viso intorno alla bocca.

Il vento della svolta spinge tutti in qualche luogo.
Se non mi trovi a casa, sono altrove.








Luna piena

C'è luna piena.
I pescatori di pesci lasciano le barche ormeggiate al molo.
I pescatori di cuori affrontano il mare con ami sottili e esche di fiori.
Luci flebili di ideali di dongiovanni in acque nero peccato, inquiete come un segreto.
La di lei mano, delicata sulla penombra del viso ispido dell'uomo del mare.
La di lei bocca, schiusa sulle labbra del canta storie di reti e sirene.
La notte è zaffiro prezioso che lei porta al collo baciato tra fili di perle e promesse intessuti da colui che all'alba seguente rimarrà un marinaio.
E la giovane si addormenterà sul tuo petto di lupo di mare e passando le dita sul tuo marchio d'inchiostro leggerà "àncora" dove tu scrivesti "ancora".
Arrossiranno le guance al soffiare candido della passione.
Arrossiranno i cirri mattutini al soffocare di un lamento già ricordo, già solitudine.
Lenzuola tiepide.
Vuote e increspate come le onde di riva alle prime ore di un giorno nuovo, che affronti solo, che è il solo modo che sai.
Dalla vertigine del faro guardo il mare.
Mia figlia vivrà in campagna, vedrà i fiori nascere dalla neve.
Avrà capelli biondi di sogni oro come i miei.
Ed occhi blu profondo oceano.
Come l'unica cosa che suo padre sa amare.

sabato 15 giugno 2013

nastri autentici

"Spero tanto tu sia sincera"

Se non puoi essere sincera non dire niente.

Vorrei un aneddoto che dimostrasse il valore di questa frase.
Ma non ce l'ho.
Non mi ricordo nemmeno dove o quando l'abbia sentita, so solo che ad un certo punto ho cominciato a tenerla a mente prima di rompere quella barriera tra le mie cose e le cose del mondo.

Così sto zitta spesso.
O parlo d'altro.

Raramente si presentano occasioni nelle quali non possa dire come la pensi a causa delle circostanze ( fin da bambina "circostanze" era una parola buffa, di quelle che fanno ridere, come   chiocciola o mortadella, parole che non sai dire senza mostrare i dentini. Essendo piccola non comprendevo che l'uso di "circostanze" in una frase implicasse in qualche modo una certa serietà e  pensare che bisognava essere seri mentre in queste stanze magari c'erano i funamboli che mi piacevano tanto o meglio ancora gli elefanti lo trovavo divertente.)
E questo rende molto autentiche le relazioni che ho, ed anche i miei diverbi.

Ho sempre voglia di verità.
E questo sia per indole naturale che perché a tredici anni non mi sentivo bella abbastanza e quindi passavo le sere a guardare la luna dalla vasistas e a scrivere poesie per il mio amore di IIF che sapeva appena come mi chiamassi.
Ho sempre voglia di verità perché come il mio buon umore va a biscotti e gelato al pistacchio, il mio cuore batte a colpi di verità, colpi bifunzionali, che fanno sì che viva e che alle volte spezzano il fiato, ti schiantano a terra e ti fanno capire che significa morire stando ancora nel mondo dei vivi.

Non è una benedizione, non è una condanna, è un dato di fatto, che purtroppo, e dico purtroppo perché sono così devota al sottosenso che vedrei un tralerighe in ogni gesto, ho imparato che quelle del nondetto e del nonfatto sono lenti rosa di occhiali che indosso spesso solo io quindi, per preservarmi, ho preso la severa e castigante ma retta decisione che sì, contano i fatti soltanto.

Le parole stanno a zero, contano i fatti. Il silenzio è un fatto.

Ora, per amore della sincerità cantata fino a adesso, mi trovo impelagata in una situazione vischiosa nella quale mi sono buttata poco gradualmente per dare una svolta conosciuta al tenore sospeso della mia vita di qualche tempo fa. Tipica scelta compiuta per sfida nei confronti della vita, io che rilancio e aspetto un' altra mossa.
Ma se io sono stronza e presuntuosa la vita mi batte in esperienza ed ha quella pazienza che io spesso detesto.
Sono all'impasse, in un magazzino, seduta su nere, gialle e rosse casse a scegliere e studiare le mie mosse.
No, sto scherzando, non ho un magazzino e se lo avessi ci sarebbero anche casse verdi e blu.

L'unica cosa vera che volevo dire è che ieri ho preso in mano una chitarra ed ho suonato le solite cose anni 80, poi ho suonato Con il nastro rosa e mi sono incazzata da morire perché mi ha ricordato che è quello che ti direi se potessi essere sincera,

ignorando le circostanze.






giovedì 13 giugno 2013

Ultima

Ma io cosa ci posso fare?
Guarda, adesso mi siedo qui, ti dico tutto e però poi per cortesia, basta.
Meglio sul tavolo?
Bene, vada per il tavolo.
Cazzo quanto è freddo.
Sbottono la camicia?
Perfetto.
Allora mettiamo subito in chiaro una cosa.
Io non spiego mai niente.
No no no non mi guardare così.
Mai e niente vogliono dire davvero mai e niente.
Non che se uno mi chiede come funziona il programma della lavatrice non gli risponda certo.
Non spiego mai niente, un cazzo niente, di me.
Perché? Abbiamo detto sinceri?
I braccialetti dove li metto? Bustina? Ok.
Dov'ero... ah, sì, bene.
Non spiego niente di me perché per me è tutto molto naturale e come lo capisco io, tutti possono capirlo, non trovi? E se così non è, beh ho i miei tempi di risposta e la mia voglia di rispondere non è sempre la stessa, poi non mi piace scoprirmi, dare così, a qualcuno, tutte le possibilità di ferirmi porgendo il fianco.
Tolgo anche i Jeans? Li appoggio qui?
E quindi non è che arrivi, metti in disordine i miei compostissimi disastri e te ne vai con la pretesa che sia tutto uguale, tutto a posto, tutto intatto.
Intatto un cazzo.
E non ci trovo niente di buffo.
No non è vero, ci ho riso anche io, tra un pianto e un altro.
In fin dei conti mi sono sforzata tanto per stare così nel mio e nel tempo di un giorno, per te, sono diventata più trasparente di un'acqua in bicchiere.
Ti piace? Il colore è lo stesso ma questo è in pizzo, non so, ho comprato i completini di questo mese pensando che ti saresti divertito a toglierli quanto io a farmi guardare.
Lo metto nell'altra busta.
Sei triste adesso.
Lo sai a me non piace parlare, soprattutto quando necessario.
Sono molto femminile per molte molte molte anche troppe cose ma per altre insomma.
Due birre, una pizza e un divano mi hanno reso la vita sempre molto più semplice di dobbiamoparlare.
Pensavo fosse successo tutto troppo presto e tutto, soprattutto, solo nella mia testa, un po' come adesso, sai sono abituata a vivere a cavallo dei miei sogni fantasiosi.
Però ora mi accarezzi il viso, mi baci le mani, sorridi passando le dita tra i colori strani dei miei capelli.
Io sono nuda e tu sei trasparente.
Toglimi tu la catenina.
Puoi risparmiarti la fatica, è stato un incidente.
Non devo muovermi? No tranquillo, gli aghi non mi fanno paura, mi sono sempre piaciuti.
Anche la storia del sangue, beh l'ho sempre trovato interessante...
Poi non credo che mi farà male.
Vederti piangere invece.
Se avessi saputo che ci saremo rivisti solo oggi, ti avrei baciato.
Meglio.

E questo?
Sembra uno di quegli anellini da estate, quelli da mettere con le infradito.
Mancano le infradito.
Hai scritto giusto il nome sul cartellino? Mia mamma ci tiene.


mercoledì 12 giugno 2013

La noia

Tutto mi annoia.
Sì certo se metto un bell' "io" a inizio frase è ovvio che qualcosa di interessante verrà fuori ma sono leggermente stanca di rigirare coltelli in piaghe che conosco.
Vorrei un "tu" che valesse la pena del mio tempo, che lo pretendesse, che se lo prendesse non che mi desse l'impressione di un quarto d'ora perso.

Oggi ho capito che vuol dire "bello da far male" e l'ho capito come uno stinco comprende uno spigolo in massello.
Ho riso delle mie convinzioni passando il ghiaccio sul livido nascente.
Se non hai sentimenti sei una stronza.
Se ne hai sei una super stronza.
Se li hai ma non li vuoi sei stronza uguale e pure un po' incazzata.
Arrabbiarsi fa aumentare le rughe, il quadro è completo.
Tutto mi annoia.
In questa fase della vita, cuore e culo non sono due parole, sono due concetti risvolto della stessa medaglia che non cade mai di testa o croce ma sta fissa in piedi sul bordo zigrinato.

Ci ho messo il cuore
L'ho fatto col cuore
Ti porto nel cuore
Col cuore in mano
Cuore mio
Mi batte il cuore
Mi pesa il cuore
Dal più profondo del mio cuore
Ti ho dato il cuore
Vaffancuore

ora sostituisci cuore con culo e rileggi sopra.

Tutto mi annoia.
Il silenzio mi annoia, le parole vuote mi annoiano, il senso delle cose mi annoia, la pochezza delle persone mi annoia, questo tentativo di perfezione cristomadonna mi annoia.

Voglio i difetti.
Parlami di difetti.
Raccontami che quanto torni a casa qualche sera non ti senti l'eroe,
dimmi che ti piace guardarti da fuori mentre ti racconti agl'altri che credono ad ogni cosa e che persino tu ti credi, a volte, quando te la racconti.
Dimmi di quella volta che hai mentito, di quella volta in cui hai copiato, di quella volta in cui far male ti piaceva e fermarti non è stato facile come avevi creduto.
Dimmi di quando non dormivi per il senso della colpa,
raccontami tutte le volte che un nondetto dentro ti gridava un nonfatto dilaniante.
Dimmi quante volte hai avuto paura.
Dimmi quante volte hai detto iostobene dall'inferno.
Raccontami di quando hai perso, di quando ti è piovuto addosso, di quando non credevi fosse vero che un mondo tanto grande ti rendesse claustrofobico.
Voglio i difetti.
Quelli che hanno fatto piangere tua madre, che t'hanno fatto credere d'essere il peggiore tra gli esseri viventi.
Voglio i difetti.
Che valgano la pena di almeno un quarto d'ora d'attenzione.

Pensi di essere abbastanza sbagliato?

Cinica e stronza

Per qualche ora, facciamo come se potessi permettermi di non essere una cinica stronza.
Facciamo che mi passo lo struccante sul viso e mi siedo sul divano, con i pantaloni grigi della tuta ed i capelli rosa cipria sciolti da una parte.
E tu, facciamo che tu per qualche ora stai qui accanto a me.
E mi fai posto sul petto, sotto la spalla.
E mi baci la fronte, mi accarezzi il collo e mi dici che andrà tutto bene.
Facciamo che mi tieni la mano e mi sussurri che ti piaccio anche sbagliata,
che il peggio di me è la parte che apprezzi di più, che il mio anulare storto,
che il mio sorriso storto, che il mio silenzio storto non li cambieresti con nessuna perfezione al mondo.
Sì, per qualche ora facciamo che il mondo siamo noi, senza il resto.
E domani sarà come se nulla fosse stato, tornerà il nulla sempre stato.
Così faremo finta.
La stranezza dei gesti che fingi è che se li fingi a lungo poi diventano come veri.
E allora mi chiedo perché non fingere tutti i giorni, per qualche ora, di non essere la cinica stronza che sono.

sabato 1 giugno 2013

L'amore ai tempi delle stampanti 3D

-Tieni è per te.
-Cos'è?
-È un vaso.
-Un vaso per cosa?
-Non lo so, per le piante?
-Piantine, è un po' piccolo no?
-In effetti è nato come un bicchiere.
-Ah sì?
-Sì, mi stavo lavando i denti l'altra mattina, e nel bicchiere degli spazzolini ho visto il tuo
-E ti ha ispirato?
-In un certo senso... l'ho visto lì fermo, appoggiato di schiena al margine rosso di plastica, coperto dal cappuccio opaco di dentifricio e, so che sembra assurdo ma ho come avuto l'impressione che mi stesse guardando ed anche...sì anche parlando. Mi ha proprio guardata e mi ha detto "eppure io sono ancora qui e tu sei fregata" E allora mi sono sciacquata la bocca e sono andata da quei miei amici che fanno quelle sculture sperimentali coi suoni e insomma alla fine ti ho fatto questo... ecco. È proprio per te.
-Ma che pensiero dolce. E che dice?
-Vaffanculo.

mercoledì 29 maggio 2013

Chirurgia notturna

C'è un punto nelle notti insonni come questa
in cui giusto e sbagliato perdono qualunque tipo di valore.
Ogni pensiero intorpidito, bellissimo o terrificante, ha tutto il diritto di essere.
Il "se poi" è un affare della mattina dopo.

C'è un punto nelle notti insonni come questa
in cui dietrologie e immaginate situazioni alternative annebbiano i confini tra desideri veri e pure fantasie.
Se poi sarà terreno fertile del dubbio, riguarderà il più tardi, dopo il caffè giù al bar.

C'è un punto nelle notti insonni come questa
in cui sarebbe meglio che dormissi invece di cercare vanamente qualche frase interessante con cui concludere un vaneggiamento nato dal bioritmo difettoso.
Se poi non chiuderò occhio sarà compito della correzioneautomatica e di quel fondotinta benedetto salvarmi in calcio d'angolo, almeno in parte.

C'è un punto nelle notti insonni come questa
in cui tra un ripensamento e un altro mi rendo conto che vorrei cambiare alcuni fatti,
vorrei ritracciare il percorso degli eventi, vorrei il potere di modifica retroattiva.
Oppure un intervento drastico e significativo.
Sotto i ferri di questa notte insonne che si è fatta mattina
vorrei rifarmi il senno di poi.

lunedì 27 maggio 2013

Questa è per te, attento che scotta.

Sono una ragazza complessa, complessata no, magari complicata a volte.
Per questo mi piacciono le cose semplici.
Semplici come le torte, come i dolci, che sono sempre il regalo giusto quando sai che vuoi dire ma non sai tanto bene come.

La settimana scorsa ho fatto dei biscotti.
Li ho fatti per te.
Impastavo e pensavo a cosa avrei detto nel darteli.
Stesa la pasta, tagliando con le formine, cercavo un pretesto, una cosa divertente da dirti.
Li ho guardati indorarsi dal vetro del forno e quando la casa si è riempita di buono ho pensato che è quel sapore lì che devono avere i tuoi baci.
Il timer ha suonato, li ho fatti freddare, li ho messi in un vassoino
e non te li ho dati.
Li ho lasciati alla vicina di casa, è sempre gentile, poi magari è una serialkiller che colleziona bulbi oculari umani sotto formalina, ma non me lo sarei mai aspettato.

Due giorni fa ho fatto un altro tentativo, una specie di crostata di mele.
L'ho fatta con una ricetta nuova, diversa, d'oltreoceano.
Infatti sopra è coperta di pasta, le mele sono una sorpresa che trovi dentro.
Ci ho messo la cannella perché mi piace, a te non so.
Mi sentivo biancaneve, ma il bordino l'ho fatto con la forchetta, va bene lo stesso?
Credo di sì- ho pensato e l'ho messa un quarto d'ora a duecento e mezz'ora a centottanta.
E dopo un po' il profumo della cannella è arrivato anche a quel vicino di giardino che da due anni suonacchia la tromba.
E allora ho cominciato a pensare che questo sapore magari non ti piace, magari ti fa proprio schifo, magari lo detesti, magari la cannella è per te quel che per me sono le zucchine, o peggio, le banane.
Quindi non ho nemmeno fantasticato, l'ho impacchettata e l'ho portata al 12 della via di fianco.
"spero che ti piaccia" ho detto "almeno se mangi non suoni e magari dormo serena" ho pensato.

Non sono una che si perde d'animo.
Vado per tentativi.
Oggi vada per un classico, il ciambellone.
La ricetta è quella di mia nonna, la forma pure, il talento meno.
Però mentre lavoravo l'impasto ho messo la radio che mi ha voluto bene, una volta tanto.
E nell'imburrare la forma ci ho messo la stessa cura che ci metterei accarezzandoti il viso.
Per fare le cose per bene, qualsiasi tipo di cosa si voglia fare, sporcarsi le mani è la base.
E quanto è divertente.
Ho atteso tutto il tempo che serviva.
È un dolce strano, perché è incredibilmente adattissimo per accompagnare qualsiasi cosa.
È buono col miele, con la marmellata, con la nutella, con la panna, col liquore, col tè, col caffè, con le fragole eppure, così, biscottato e soffice, da sé, è perfetto.
E mentre pensavo questa cosa mi sono anche bruciata per non farlo rompere tirandolo fuori dallo stampo.
Non tutte le ciambelle riescono col buco.
Questa sì.
Ed è qui, sul tavolo di legno, a riempire la casa di un profumo che non sto nemmeno a raccontare.
Ti piacerebbe.
Ti piacerebbe sul serio. Penso.
Credo.

Credo che non saprai mai che questa torta esiste.
Perché amo le cose semplici ma sono complessa.

Col complesso della ragazza della torta accanto.







Le ricette della nonna

A me piace cucinare.
Non è un'attitudine dettata dalla modernità, come ogni bambina, ho costretto i miei familiari a fingere di gradire mangiarini preparati con foglie e sassi, prendevo il tè al latte (che schifo) nel mini servito insieme alle bambole, ho riempito d'olio la cucinetta di plastica che tanto ho amato e sistemavo gli avanzi, come il grasso del prosciutto, a forma di faccia nel piatto.
Il tutto mentre alla televisione non c'era Benedetta Parodi ma Wilma De Angelis.
Che donna, la adoravo.
Nei miei occhi di bambina, wilmadeangelis era una fusione tra la signora in giallo e mia nonna, che si chiama proprio Wilma. Ovviamente era un segno.
Così passavo ore ad imitare la mia vera nonna, pensando che era più brava dell'altra wilma, che comunque mi stava simpatica.
Mia nonna cucinava sempre.
È una toscana dal mugello, che altro mai avrebbe potuto fare?
Chiacchierare?
Esattamente, quindi la mia infanzia con la nonna l'ho passata tra uno "stai attenta alla padella" e un "perché vedi in tempo di guerra".
Le persone che mi piacciono le ho sempre ascoltate volentieri, e per mia nonna avevo un'adorazione infinita.
Così a cinque anni ho impastato la mia prima pasta frolla e sapevo a grandi linee che la seconda guerra mondiale non era stata un'idea luminosa.
Poi è stata la volta del ciambellone e le storie delle merende con sua sorella
Dopo è venuto il minestrone, quello vero, con tutte le verdure che non nascono a cubetti, e delle storie strane di famiglia.
Poi la vera pasta e le storie di lei ragazza.
Le ricette dell'ultimo secondo, come darsi la cipria in ascensore.
In fine il ragù, con tutti i suoi tempi.

Ti vanno di più le tagliatelle o il risotto?
Il risotto.
Giugi tirati su le maniche che la faccenda è lunga.
Lunga quanto?
Pensa che non avevo nemmeno vent'anni...

Ci vuole tutto il tempo che ci vuole.
E smaniare, sbuffare, fissare la cipolla sul fondo della pentola non renderanno affatto più celere il tutto.
Il tempo del ragù è il tempo della passione.
Una passione tanto profonda quanto consapevole.
Un gioco di sguardi lunghissimi.
Intensissimi.
Rosso scuro.
Denso e tirato.
Perfetto.

Il tempo del riso è un rempo sereno e attento.
Preciso e divertente.
Un gioco di baci al dente
di gesti buffi.
Attento a ridere così che poi ci si attacca eh.

Oggi mia nonna non cucina più tanto e se le chiedi una cosa, può succedere che tu debba ripeterla cinque o sei volte perché non sente, da vicino, perché se sussurri qualcosa a telefono, a dieci metri da lei, sente perfettamente.

A me piace cucinare
anche riso diverso
anche sugo diverso
credo che prima del risotto al ragù
ci saranno diverse sere al runner-pizza.

venerdì 24 maggio 2013

semiotica delle spiegazioni che dovevo darti


colta da influenza semiotica, mi rendo conto di doverti delle spiegazioni.
non so se hai notato ma
io sono una connotativa.
e mi viene da chiederti scusa per questo, almeno un po'.
perché ti guardo e vedo che a volte proprio non mi leggi.
e in quei momenti vorrei esserti d'aiuto.
vorrei essere una ragazza denotata, cambiarmi i connotati, farli più aderenti alle denotazioni solite, così capiresti, vedresti, mi vedresti.
vorrei davvero ma non posso, proprio non posso.
non posso perché dovrei cambiare stoffa, pasta, forma.
e non so farlo e se anche lo sapessi non lo farei lo stesso.
sono un grappolo di connotazioni difficili e contraddittorie appeso ad un significante a forma di me.
e per amor del vero è giusto che tu sappia che sono una creatura strana ed anche spinosetta.
ho il cuore un po' di cane un po' di riccio ma puoi starmi vicino, stando attento, se ti va.
dovevo dirlo prima magari, dopo averti detto "ciao" la prima sera, "mi chiamo giulia e sono connotativa recidiva dentro, non mi puoi salvare neanche con il jerseyshore"
sono così, ho una manciata di significatini magari invisibili, magari complessi, magari inutili ma miei, che appiccico sulle cose, sui gesti, sulle coincidenze, sui silenzi.
e non importa cosa sembri o cosa no, sto al rischio, è selezione naturale.
restano i migliori.
e con me ci vuole la pazienza che non ho, e un dizionario forse.
non che dica cose che non pensi, è il solito discorso del penso ogni cosa dica ma ho diversi non detti.
ho i miei entusiasmi, i miei momenti neri, la ricerca del sereno e un paio di paure.
più tutto il resto.
certo con te, il più delle volte è naturale, corrisponde al come sembra.
il meno delle volte il comesembra è la punta d'un iceberg che faccio attenzione a nascondere dai radar.
come ben sai, il meno è il più, spesso.
almeno a volte.
è più semplice di così, ma la semplicità che sono è retta da un equilibrio che in cuor suo è complesso.

forse dovevo avere più coraggio e dirti subito, insieme al ciao
di non innamorarti.

connotativa.
denotativa no.
connotativa.


martedì 21 maggio 2013

Nel mondo che vorrei

Nel mondochevorrei le strade sono più simili a quelle di campagna, e tira l'aria di domenica mattina, d'estate, del pane cotto a legna.
Nel mondochevorrei c'è la carta dei difetti, non quella delle identità e quando dici ciao mi chiamo G qualcosa, poi si gioca a  celomanca.
pigrizia? celo, paura? celo, semprefame? beh un pochina ma è anche l'ora...
Nel mondochevorrei si fa merenda, anche coi cavoli se uno proprio non ne può fare a meno, ma per me la marmellata della nonna va perfetta.
Nel mondochevorrei, ai ragazzi innamorati crescono i fiori nella barba e alle ragazze è buon costume regalare mazzolini di biscotti e talvolta di carciofi.
Nel mondochevorrei ci sono tanti gatti che di inverno ti fanno anche da scaldasonno.
Nel mondochevorrei si disegna di continuo, e si può scarabocchiare anche sull'aria.
Nel mondochevorrei se l'idea è buona schiacci il cinque e se dici lo stesso tocchi il naso.
Se litighi poi, nel mondo che vorrei, ci sono vari modi di far pace.
I bigliettini sono il mio preferito.
Il mondochevorrei sembra sia stato scritto da un bambino perché in questo mondochevorrei sono i bambini che rieducano tutti gli altri grandi che sono stati troppo nel mondo che non volevo.
Nel mondochevorrei se immagini una cosa la puoi fare.
Se chiudi gli occhi e immagini un gelato ti cade in mano una gelatiera che ti dice "effattelo" ma è divertente, e te lo fai e poi è più buono.
I panini invece no, sono più buoni se li fanno apposta per te, nel mondochevorrei.
Nelle coperte del mondochevorrei ci sono cucite le novelle della sera e i libri parlano e borbottano e dibattono e si sfogliano stando appollaiati su scaffali in legno vivo.
Nel mondochevorrei ci son sia baci che sorrisi ed ogni lacrima è preziosa, preziossima, che non si può sprecare, ci si comprano le case se è pianta come diocomanda.
Nel mondochevorrei le case sono case ma anche un po' barche e mongolfiere.
Nel mondochevorrei niente è più speciale di come sembri.

La voglia di gelato nel mondochevorrei è la distanza esatta tra tutte queste cose ed il mondo che ho.

domenica 19 maggio 2013

Fiori di carta

I tempi delle parole sono come i tempi dei fiori.

L'ultima volta che l'ho visto gli ho lasciato un bigliettino in tasca.

Il tempo di preparare il terreno.

Sono le diciassette e cinquanta, è un lunedì pomeriggio e sto tornando a casa.
Il sole di taglio mi riflette sugl'occhiali ai quali devo ancora far abitudine.
Abbasso la testa per metterli via e nella vetrina c'è un quaderno quadrato.
Fanno tre e settanta, e torno a casa.

Il tempo del seme.

Sono le nove e quindici, mi sono scottata la punta della lingua col caffè bollente.
A lezione disegno cerchietti e quadrati, quadretti accerchiati forse.
Una frase, quel fuoricontesto che rende la noia, il tempo di un attimo, interessante.
Scrivo due righe. Uno strappo.

Il tempo di cogliere.

Sono le... non so che ore fossero, non porto orologi o forse ero solo distratta.
Distratto lui che chiude gli occhi se schiude le labbra sopra le mie.
Tiene le mani a cornice del viso, sul collo, la spalla sinistra.
Lo bacio, sorrido, dice qualcosa, una mano in tasca, un bacio ancora.

Il tempo dell'attesa.

L'ha capito?
Gli è piaciuto?
L'ha trovato?
L'avrà perso

L'ultima volta che l'ho visto gli ho lasciato un bigliettino, piegato quadrato, in fondo alla tasca.
Un bigliettino con dentro il tempo di me che scrivo, di lui che leggerà che poi sarà avràletto.
Il tempo di un'emozione stupida e bella come un fiore.

Un'antologia.




giovedì 16 maggio 2013

Come la neve

Il cuore in gola, le farfalle che sembrano elicotteri, gli occhioni spalancati dai sogni.
Che cretine.
Accorgersi di mille coincidenze, dirsi che è tutto un segno, il fiorire delle dietrologie.
Che cretine.
I sorrisi ebeti, il suo nome che diventa sempre più bello, l'inconfessabile attesa impaziente di un sms.
Che cretine.
Cosa importa delle scarpe, dei mascara, dello shopping, le cose belle della vita sono semplici e gratis.
L'amore è gratis.

Che cretine.

Le mani nel sangue, lo stomaco contorto, gli occhi spaccati da notti di inferno.
Dilagare di mille incertezze, chissà se quel silenzio era una bugia, il regno del dubbio.
Il sorriso tirato, il suo nome che diventa un tasto dolente, l'inconfessabile attesa impaziente di un sms.
Cosa importa dei libri, del sonno, del pranzo, la cosa che conta è questa fitta allo sterno che mi costa un pezzo di vita, l'anima intera.

Che cretine.

Quasi incapaci di intendere un amore come qualcosa di diverso da un malessere.
Invece no.
L'amore non è nessuna di queste cose.
È molto meglio e molto peggio.
Molto meno e molto più.

È quando decidi che sarai sincera
Che guarderai i tuoi limiti in faccia, non svendendoli per stranezze.
Quando i tuoi difetti saranno il trampolino per crescere.
Che vedrai te come un punto di partenza e di arrivo insieme.
È quando passerà la voglia di incasellare tutto.
Quando vedrai le persone come un collage disastrato e andrà bene così.
Quando non vorrai cambiare nessuno.
E non vorrai essere cambiata.
È quando stare sola non farà paura ma ti piacerà.

È quando la complessità della tua equazione ti renderà bella e semplice
Come un fiocco di neve.

Un fiocco di neve.
Uno di quelli che ti cade sul naso e ti strappa un sorriso dal cuore.
Anche se dentro ha la curva di Koch.

martedì 14 maggio 2013

Tempo reale

Quanti metri sono?
Non lo so
Non lo sai tipo cinque? Meno?
Non lo so, tipo venti.
Torno indietro.
Non puoi.
Cazzo non posso.
E buttati.
E cristomadonna.

Conosco un posto bellissimo.
Questo posto è una spiaggia sassosa, una di quelle che se hai scordato le infradito, alle tre, quando sulle pietre più piane potresti friggerci un uovo, se c'è una cosa che ti ricordi sono tutti i santi del paradiso e li tiri giù uno per uno.
La strada per arrivare a questa spiaggia sassosa passa in discesa, da una radura che tra una lattina e una cicca, ricorda il boschetto di fantaghirò, o quello di blarwitchproject, dipende dall'orario.
Passata la macchia verde, un bivio.
Da una parte la strada continua tra pietre quasi verticali da scalare stando attenti a non far cadere lo zainetto coi panini, che ti senti tipo Jane, col vento tra i capelli e le mosse agili e fluenti, in perfetto equilibrio nelle tue ciabattine e invece sei tipo Cita, spettinata e maldestra, che dopo aver sudato sette camicie quando hai messo male la caviglia, arrivi in fondo ringraziando il cielo che provvede abbracciandoti con un cavallone che impietoso bagna te, il prendisole e lo zaino dei panini.
Dall'altra parte il sentiero continua per tre massi piani, poi il balcone dei suicidi, dritto sullo strapiombo.
L'acqua è molto bella.
È trasparente e salata.
Cristallina e piena di cose da vedere.
Un'acqua giusta per le immersioni.
Non potendo fare le buche o i castelli, le immersioni sono il gioco più divertente.
E poi i tuffi.
Ecco.
I tuffi non so ancora se sono divertenti.
Però sono interessanti.
Ci sono diversi scogli in questa spiaggia sassosa, e ce n'è uno alto, il più alto di tutti e da questo scoglio si fanno i tuffi seri.
E sono seri perché il sentiero per arrivare a quel trampolino roccioso è impervio, scivoloso e a senso unico.
Devi arrampicarti tra scogli vestiti d'alghe, ed anche scavalcare sassi aguzzi ed una volta che sei lì non puoi più tornare indietro.
Proprio non puoi.
Puoi scendere solo tuffandoti.
Non mi sorprenderei se un giorno ci trovassero lo scheletro sbiancato dal salmastro, di qualche timoroso avventuriero preso da un attacco di rischio troppo forte per il proprio timoroso cuore.
Quindi sei lassù ed il cielo è vicinissimo e i bagnanti piccolissimi e il cuore batte, per amor di superlativo, fortissimo.
E ti chiedi perché sei salito, perché non sei rimasto a prendere il sole tranquillo, a mangiare un gelato comprato dal venditore abusivo che alla fine sembrava simpatico, e stai prendendo tempo con te stesso per fare una cosa che ormai devi fare dicendo che non vuoi quando in fondo in fondo vuoi e anche parecchio.
E allora tieni il fiato.
Reggi il costume.
E salti.

Conosco un posto bellissimo dove vorrei portarti
In questo posto c'è l'acqua trasparente e i sassi al posto della sabbia,
possiamo fare le immersioni e mangiare i ghiaccioli.
E ti ci vorrei portare adesso.
Proprio ora.
Perché c'è un posto, in questo posto, che ti ricorda una cosa.
Che non puoi vivere un tempo diverso da quello reale.


lunedì 13 maggio 2013

Amica Amaca

"Sei cambiata"
"Sono cambiata"
"Hai i capelli diversi"
"Questa non è una novità"
"Cosa prendi?"
"Il solito"
"Non sei cambiata"
"Non sono cambiata"

E sorrisi, e bacini, e versi da vecchi cartoni animati.
Capaci delle conversazioni più ampie, frequentiamo scrittori, poeti, pittori e musicisti.
Eppure si parla lo stesso di uomini, abiti, attrici, modelli, quel disco dei radiohead che tanto ci piacque anni fa.
E poi sandali, cuccioli, sconti e quell'ultimo libro che dannazione è bello e tremendo fino alla quarta di copertina.

-Mi sei mancata, che profumo buono, hai cambiato lo shampoo?
-Ho detto basta ai semi di lino, è Jean Paul Gaultier, anche tu tanto.

L'abito non fa il monaco, no, con i pantaloni grigi della tuta abbiamo vinto vere guerre, coi capelli spettinati a nido abbiamo scoperto il mondo e senza neanche fondotinta ci siamo fatte invincibili.
Ci siamo arrabbiate, fraintese, finite le frasi, prestate le scarpe.
Nessuno direbbe che siamo così intelligenti sotto quest'aria leggera.
Nessuno direbbe che siamo tanto leggere sotto quest'aria intelligente.
E le notti a guardare le stelle stringendo le mani tra noi con i sogni intrecciati alle dita.
E il mare spagnolo a dar prova del nostro talento snodato.
E quella sera dopo il concerto, a infilarci il costume da bagno in quel parcheggio, tra i fiori, i rovi, gli sterpi e gli amici.
Amica mia.
Preziosa.
Paziente.
Rarissima.
Ci dondoliamo con la testa sulla spalla dell'altra, con la testa sulla testa dell'altra, cullate da questo scirocco che non ci fa dormire sognando l'estate che brucia la pelle di sale, di sole.
Ti voglio un bene senza tempo, un bene mai iniziato, che ho solo scoperto.

"Non sei cambiata"
"Non sono cambiata"
"Hai qualcosa negl'occhi"
"Un ciglio? Un insetto? Una trave?"
"Un brillio."
"Un brillio."
"Sei cambiata."
"Sono cambiata. "

Ma fa lo stesso

sabato 11 maggio 2013

Diario della donna di una rock star

Con questa storia che era artista ci ho fatto i conti tutta la vita.
Intendo questo suo bisogno di innamorarsi quasi necessario, inevitabile.
Se avesse dovuto smettere si sarebbe trovato in quello stato statico, sarebbe morto, almeno creativamente. Aveva sempre il timore di annoiarsi.
Alla fine io lo sapevo, e quando ho detto sì, l'ho detto a tutto il pacchetto.
Anche perché se ami una persona, fai quel che puoi per vederla felice, e se il prezzo da pagare per la sua luce negl'occhi era che ogni tanto a ridergli dentro fossero stranezze non mie, non mi sembrava poi così alto.
E forse non lo era davvero.
È difficile da spiegare perché è stato difficile da capire anche per me, che ad un certo punto
mi sono ritrovata qui, nel mezzo delle cose.
Sono cresciuta in una famiglia tradizionale, normale, dove c'è un padre, una madre, i litigi domenicali e le cene di natale, il tutto condito da un senso morale di stampo cattolico, con qualche modulata eccezione.
Sebbene io poi abbia preso la mia strada, il fantasma degli sposini di zucchero su un millefoglie a cinque piani, in certe notti non mi faceva dormire.
In quelle notti che passava nel suo studio a dipingere, a creare, a scopare la protagonista del suo ultimo racconto stesa sul tavolo in massello, tra il diluente e il computer acceso.
Cercavo di tirare tardi, più tardi di quanto lui avrebbe potuto, se anche di cinque minuti sarebbe bastato. Ma niente, è un po' il leitmotiv della nostra storia, per quanto me la raccontassi, arrivavo sempre prima io. E aspettavo.
E quando tornava ero arrabbiata, incazzata, quasi lo odiavo.
Ma ovviamente non dicevo niente, il più delle volte fingevo anche di dormire.
Entrava nella doccia e un quarto d'ora dopo mi dormiva accanto.
Mi abbracciava sempre.
Sempre mi lasciavo abbracciare.
Niente valeva quel momento lì. E tutto l'odio defluiva insieme al docciaschiuma.
Mi sentivo stupida?
A volte sì, quando avevo voglia di essere tenera, di mostrargli una dolcezza o di regalargli uno di quegli stupidi sogni su un ipotetico futuro, non lo facevo presa dal pensiero di non essere la sola e completamente infastidita dall'idea che quella dimensione per me tanto importante per lui non avesse più valore di una canzone da scrivere.
Ma non sempre, a volte.
Altre volte andavo oltre e dargli un bacio era così bello che chissenefrega, mi sentivo fortunata lo stesso.
Malgrado. Sebbene. Nonostante.
Stare accanto ad un uomo così non è semplice ma non è semplice nemmeno stare insieme ad una donna come me.
Non sono stata la casalinga anni cinquanta che preparava torte di mele in attesa del ritorno del coniuge fedele ai propri bisogni.
Tante volte sono scappata e altrettante è venuto a riprendermi.
Mi ha seguito esattamente come ho seguito lui.
Nel bene e nel male.
E se ripenso per cosa ne è valsa la pena, non ho molti dubbi:
le domeniche pomeriggio.
Ognuna di quelle interminabili e lunghissime domeniche piene di una disperatissima noia.
Annoiarsi.
Insieme è stato bellissimo.





venerdì 10 maggio 2013

Tensione Tessuto

Facciamo che le persone siano tessuti.
Prima ancora di essere tessuti sono filati.
Prima di essere filati sono un'ammasso confuso di materia.
Ci sei?



Bene quindi questa massa di materia si fa filo e questo filo è un po' tutto.
Sei tu. Tu e tutte le cose che ti succedono e ti sono successe da sempre.
E anche i ricordi, che alla fine sono le stesse cose che ti son capitate ma spostate un po' più avanti, anche più volte. E i pensieri e le paure e le idee, insomma tutto.
Ok?

Sì sì ti seguo

Ottimo, dunque questo filo però all'inizio è solo un filo, è una vita in potenza, è la possibilità infinita di un'esistenza. Un forse intriso d'energia. Un filo impaziente d'essere.
E ti immagini un telaio coi controcazzi allora, una roba super.
Invece è un affare di legno un po' scheggiato con un pedale che si ingrippa e qui e là un pure un po' di ruggine. Ma non importa, il filo è così sul pezzo che come e dove non ha importanza, importa solo cosa, importa solo ora.
Ci sei? Mi segui ancora?

Certo.

Ecco e allora via si comincia, la senti l'emozione?
Trama, ordito.
Il primo dentino.
Trama, ordito.
Il primo regalo.
Trama, ordito.
Il primo giorno di scuola.
Trama, ordito.
Il ginocchio sbucciato.
Trama, ordito.
La prima bicicletta.
Trama, ordito.
Il primo amore.
Trama, ordito.
Un rimpianto.
Trama, ordito.
Il primo pianto.
Trama, ordito.
Litigare con mio padre.
Trama, ordito.
L'incidente.
Trama, ordito.
Cambiare direzione.
E così via.
Continua e se guardi dall'alto vedi proprio il tessuto che prende forma, e cresce, e cambia, e si colora, di una prevedibilità che lì per lì non ti aspetti.

Sì, dove vuoi arrivare?

Ci sono.
Quando ami qualcuno, e stai attento eh, non quando ti innamori, quando ami proprio, che non è il groviglio di farfalle, non confonderti.
Quando ami qualcuno, è proprio un altro filo che si attorciglia da un lato e si tesse un po' per sé e un po' con te, e si infila così, tra le tue trame, nei tuoi orditi, shakespiriano non trovi?
E se riguardi il tuo tessuto vedi una macchia che ramifica.
Ed è bellissima.
Ed è tremenda.

Ahi.

Ahi sì.
Che poi se viene il momento di eliminarla, se non la sopporti più questa variazione su tema, se non la vuoi più vedere, toglierla è un casino. Non è colore. È materia. È sangue nelle vene. Forse sono proprio vene.
E frizza
E graffia
E pesa.
E che fai?
Sfili, con la stessa pazienza che c'è voluta a tessere?
Mi ci vedi?
Tagli, così finché durerà il tuo filo, vedrai che c'è un buco sfrangiato da una parte?
Non è intelligente.

E dunque?

E dunque aspetti fino a quando non ti rendi conto che quello che quello che ti capita, quello che provi, tutto eh, l'odio, la rabbia, la tristezza, questa dannata solitudine non è tuo.
Che l'amore non è tuo, che amare qualcosa, qualcuno, non è un gesto che può appartenerti in nessun modo.
È una situazione in cui ti trovi immerso, che è sempre stata lì, in cui tutti fanno sosta o l'hanno fatta.
E allora ti senti sereno, deresponsabilizzato verso questo vuoto.
Però ti fa un po' freddo.
E allora la coperta.

martedì 7 maggio 2013

Dialogo cuscino

-Cosa mi stavi chiedendo?
-Ti va di dormire insieme?
-Non dirmi queste cose.
-Se vuoi non te le dico.
-No non voglio.
-Hai detto tu che volevi la verità.
-E tu da quando mi prendi alla lettera?
-Stupida.
-Ci credi al caso?
-Sì, abbastanza.
-Che schifo abbastanza.
-Sì ci credo.
-Ma ci credi nel senso che certe cose capitano senza un perché oppure credi che nelle cose che capitano così, ci sia un senso?
-Credo la seconda, credo...
-Io no.
-Tu no cosa?
-Io non credo al caso, in nessun caso.
-E in cosa credi?
-In dio.
-In quale dio?
-In un dio, uno di quelli che fa capitare le cose, uno di quelli che puoi ringraziare, o in questo caso con cui puoi arrabbiarti parecchio.
-Arrabbiarti? Perché?
-Perché tu.
-Perché io?
-Lascia stare...
-Insomma credi in dio... e basta?
-Ti pare poco?
-Mi pare... abbastanza.
-Mh...
-Mh...
-Credo un'altra cosa.
-Sentiamo
-Credo di essere fatta per sognare sola ma
-Ma?
-Non per dormire sola.






lunedì 6 maggio 2013

nuda cruda dura amara sola

La verità è la palpata di culo che ti ha dato quel tipo in discoteca, sconveniente ma in fondo in fondo ti piace.
La verità è lo stretching alle gambe, una soddisfazione dolorosa.
La verità è una di quelle donne orientali sopra le quali ti viene servito il sushi, nuda e cruda.
Buona e amara come il caffè.
Sola come un lupo.
Triste e brillante come il plenilunio di luglio.
Grezza e dolce si fa zucchero di canna sgranato e dai riflessi ambra.
La verità è una.
La verità ha sempre almeno due punti di vista.
La verità è bipolare?
La verità è una, e trina.
La verità è molteplice ma distinta.
Non confusa ma confonde.
Chiarisce, rischiara.
Rasserena.
È serena. E variabile.
Comunque sorridente, tanto sorridente che a volte ti ride proprio in faccia.
Sorprendente anche, tanto sorprendente che a volte nemmeno è facile crederla.
La verità è stupida e fondamentale.
Molto poco fascinosa.
Una ceretta inguinale.
Il fondotinta finito.
I leggings dopo le vacanze di natale.
La luce del mattino dopo.
Gli specchi dei camerini di ZARA.
Un vizio di cui non si può fare a meno.
Un'attitudine naturale.
La negazione ultima dell'illusione.
La fine senza aggettivi delle storie che ti racconti.
Una bugia raccontata male a cui credi per forza.
Una parola accentata

giovedì 2 maggio 2013

B















Nel mio linguaggio personale, ogni lettera è la punta di un iceberg di significati verticali, il puntale di un abete appesantito da nastri di passioni, sentimenti a tuttotondo, cristalli d'esperienza.
In questi giorni penso alla B.

B.
Come da questionario.
Al liceo, quando i compiti in classe erano test a risposta multipla, se per caso non la sapevamo, ci dicevamo "nel caso segna B"
Perché B?
B ispira sicurezza forse, un po' come l'otto.
Le due curve sanno di abbraccio.
E nello sconfortante momento in cui ti vien chiesto se l'equazione di Wittgenstein sia stata teorizzata prima, dopo o durante l'amicizia con Russell, un abbraccio, anche se non salvifico, resta comunque un abbraccio.

B.
I vecchi tempi col walkman sony.
Avevo un'amica bellissima che mi registrava, sì proprio con rec, delle compilation sulle musicassette e se l' A-side era storia del rock, il B-side era la ricerca, la passione, la scoperta.

B.
Che è un lato.
Un lato che puoi avere e più ne hai meglio è.
Non è mai un troppo che stroppia, finché sta in una quaranta.

B.
Come il piano.
Il piano B è una costante.
O almeno è stata una costante per molto tempo.
Una risposta al purtroppismo, alla sfortuna, all'imprevisto murphiano, alle solite variabili che si sono sempre interposte tra l'aspettativa e il reale.

Il B che non ho detto.
Questo settembre quando mi chiesero "e se non va che farai?" per la prima volta ho risposto netta che non ero in possesso di nessun piano b perché averne uno era sminuente nei confronti del piano a nel quale avevo deciso di credere.
Una di quelle uscite cinematografiche che ogni tanto scappano tra un cioè e un altro.

B come basta.
Basta riserve.

B. che se nel caso
Boh, sì.




sabato 27 aprile 2013

Paradosso minerale naturale

Acqua passata non macina più...
accidenti però quanta ne è scorsa sotto i ponti.
Non ci somigliamo più come una volta, o forse sì.
Come due gocce, anche se ne basta una soltanto per traboccare.
Sono diversa.
Ma anche la stessa, sempre acqua e sapone e mi sento ora come allora, un po' pesce, un po' fuor d'acqua anche se quest'acqua me la trovo sempre alla gola e allora ti penso e se per te sembrava tutto facile come bere un bicchier d'acqua io in quel bicchiere mi ci perdo, mi ci affogo di continuo.
E allora me ne sto qui, in silenzio, stando attenta a non rovinar ponti e ad attendere che le acque si calmino da sole.
Non me ne lavo certo le mani, solo attendo che le gocce scavino la pietra.
E lo fanno. E l'hanno fatto.
Eccomi qui.
Dopo mille buchi nell'acqua, dopo mille volte in cui dicevo che non avrebbe piovuto per sempre mentre continuava a diluviare sul bagnato.
Eccomi qui con questo mare che tra il dire e il fare è diventato strettissimo, asciutto, inesistente.
Rompi questo ghiaccio e portami al tuo mulino.
Di nuovo.

Posso ancora vederti

Posso ancora vederti.
In lontananza
una sagoma sbiadita ma
posso ancora vederti.

La gola si stringe in un cappio
il respiro si fa più profondo
nessun pensiero.
I miei occhi soltanto
fissi su di te
per una volta ancora.
Posso ancora vederti.

Il terrore di perderti 
non ha smesso di scorrermi 
sotto la pelle
I rivoli per le mie guance
si fanno promemoria d'ogni passo 
che mi ha portata così lontana
da te.
Posso ancora vederti.
Nonostante gli occhiali
Posso ancora vederti.

Posso ancora vederti.
Dannazione
Posso ancora vederti.

Posso ancora vederti.
Non riesco a smettere
Posso ancora vederti.

Posso ancora vederti

E aspetterò

finché tu non vedrai me


Cuor d'acqua

Sotto le foglie umide d'autunno è una sorgente in un bosco di montagna la forma del mio cuore mentre ti riscopro.

La doccia inaspettata di un temporale in pieno giorno a luglio si fa baci e non cerchiamo un portico che ci ripari.

Il fiume, quel fiume, che taglia il bosco e la valle, che passa sotto le rovine antiche di vite che furono, di sogni che erano, scorre disteso su un letto disfatto dopo la notte scorsa impetuosa.

Il velo grondante sulle pareti roccia di una grotta è il tremore sottopelle se ti accarezzo con la punta delle dita.

Respiro piano e sono oceano che ti abbraccia, e sono mare aperto per ogni tuo sogno.

Malinconia specchiata di un lago d'inverno, questi giorni a ciottoli, in una barca vuota.


martedì 23 aprile 2013

Resoconto di questi singulti di primavera

C'è qualcosa di estremamente poetico in questi giorni.
C'era ieri, nella pioggia presa sul lungarno
nell'odore di primavera schiudente,
in quel sole tiepido,
in quelle parole.
polverose e  nuove.

C'è qualcosa di estremamente poetico in questi giorni.
C'era l'altro ieri, dopo pranzo
nel sapore dolceaspro delle prime fragole,
in quel volersi bene che non è mai lo stesso
che non è mai cambiato.
in quella tradizione nuova
abitudine inconsueta.

C'è qualcosa di estremamente poetico in questi giorni
C'è stato oggi, mentre pioveva insieme al sole
nelle pieghe ruvide di una carta spessa
in quelle linee curve di emozione
in una gru piegata in fretta
che pare ferma, invece, ti sta volando verso.

Un balenìo
un istante
una parola detta a terzi.
C'è qualcosa di estremamente poetico in questi giorni

Dimmi che l'hai.

lunedì 22 aprile 2013

Al bacio

I baci hanno diversi gusti.
Seguono le stagioni, anche.
Ci sono i baci che sanno di fiore,
quelli che sanno di vaniglia,
quelli che sanno del primo mojito con la menta a modo.
Ci sono baci che sanno di gelato
anche se forse quelli al ghiacciolo sono più divertenti,
baci che sanno di sole, mare, accidenti, di sabbia.
Ci sono baci che sanno di sièfattotardi,
baci tristi, un po' salati.
Baci buffi, coi capelli in mezzo.
Baci rubati e restituiti.
Baci della buonanotte
Baci del buongiorno, inframezzati dal lenzuolo.
Ci sono baci che sanno di sorriso
e baci che sanno di rossetto.
Baci che sanno di scommessa,
baci premio.
Baci inutili e baci dismessi,
quelli che trovi a saldo in un banchino dell'usato.
Baci da mercoledì
e baci da domenica.
Baci con la nocciola.
A me le nocciole così non piacciono.
Baci speciali
o presunti tali.
Baci normali
Baci da pantalone grigio della tuta, con la felpa larga
in un abbraccio morbido, col tè sul tavolo.
Baci che mai.
Baci che sì.
Baci che ancora.
Baci che non.





domenica 21 aprile 2013

Ho perso.

Ho raccontato una storia che mi somiglia al vento che ti è passato tra i capelli.

Parlava di inciampi
Ho perso l'equilibrio.
Chissà dove l'ho messo.
Un livido.
Di qui non è passato.

Parlava di strade sbagliate.
Questo posto lo conosco.
Non so dove sia.
E finisco sempre qui.
Io mi perdo.
Sempre.

Se sei troppo lontano non ti vedo.
Se sei troppo vicino sfumi.
Ma gli occhiali?
Mi sa che li ho lasciati a casa, ti scoccia se ci facciamo un salto?
Le chiavi.

Perdo.
Tutto.

Facciamo un gioco.
Così non vale.
Hai vinto?
Ho perso?
Secondo me non valeva, poi sai come si dice...

Mi sono persa un passaggio.
Non ho capito e alla fine sono tornata a piedi.

L'unica cosa che non va persa è il tempo.
Me la sono scritta su un post-it.
Uno di quelli gialli.
Una massima che non perde colpi.

Si può toccare il cielo posando il dito in una pozza che riflette.
Che pozze sagge.

Ho perso il filo.
Ma non il senso.

L'hai preso il vento?

venerdì 19 aprile 2013

Il cuore della morte

Passo le notti sveglia nel deserto.
Dicono sia freddo, io mi sento a casa.
La sabbia resta comunque sabbia anche se mi scorre tra le dita.
Un punto fermo, in un continuo andare.

Perché.
Mi viene chiesto di continuo.
Non ho risposta.
Sono e basta.

Ricordo tutti.
Alcuni forse un po' di più.
Uno sempre.

Per sempre.

Per sempre io lo dico spesso.
Priva di quel sensodisogno che si sente nelle speranze presuntuose di eterni ed infiniti amori.
Per sempre è un sipario calato.
Il dopo i titoli di coda.
La quarta di copertina.
Il silenzio delle notti nel sahara.

Non ero giovane che fuori.
Lo ascoltavo suonare per intere ore.
Lunghe notti costellate di parole.
Carezze mancate sul filo teso di un perché mai pronunciato.
Provò a baciarmi ed io scappai
desiderando con un cuore che non sapevo fosse mio
che fosse vero quel "per sempre" che gli dissi.


Tornai alla fine,
fu lui a chiamarmi.
Nessun figlio.
Nessun amore nuovo.
Il suo sguardo fermo.
Sicuro.
Sapeva.
Quel bacio.
Il più caro in assoluto.
Preziosissimo.
Terrificante.
E poi, per sempre.

Passo le notti sveglia nel deserto.
Dicono sia freddo, io mi sento a casa.
La sabbia resta comunque sabbia anche se mi scorre tra le dita.
Ti penso ancora
e non so perché.





lunedì 15 aprile 2013

A Anonimi

-Insomma sono andata alla riunione degli anonimi.
-Brava, hai fatto bene, com'è andata?
-Bene, non ho scritto nemmeno due righe questa settimana.
-Nemmeno per sms?
-No. Non concettuali.
-Accidenti, fai progressi.
-Però è successa una cosa.
-Raccontami.
-Stavo lì, col cuore pieno di significato, poco prima che toccasse a me...
e mentre cercavo di non scrivere nulla su quel benedetto foglio che tenevo in mano, è entrato lui.
Boom. Il significato del cuore nel mio petto si è perso tutto insieme per ritrovarsi un istante dopo, quando lui mi si è seduto un po' per grazia, un po' per caso, accanto.
Sapeva di dolce, di primavera, di buono.
"Tu perché sei qui" mi chiede, con una voce che pareva una forchetta tanto era posata.
"Il rasoio concettuale... sfoltisco parole." rispondo. Lui capisce.
"Oh, un'aforista. Come sei bella" dice ed io mi faccio fragola, sorrido muta.
"Ti lascio un gelsomino, così puoi ritrovarmi. Ti prego, non ti scordar di me" dice e fugge via nel tempo di un battito di ciglia.

Il mio cuore si è fermato in un'istantanea infinita. In un sospeso di silenzio e fragore.
Rumore assordante di un pensiero.
Ma i pensieri non esistono, sono solo frutto della mente.

Poi era il mio turno.

-Non sei migliorata tanto eh...
-Eh no...
-Ma lui chi è?
-Un afiorista.

lunedì 8 aprile 2013

Se fossi nata nel 23


Avrei avuto i capelli scuri e mossi, la vita stretta e le ciglia lunghe.
Avrei lavorato fin da giovane, confezionando tailleur e pellicce per la Firenze bene.
Mi sarei cucita i vestiti da sola.
Avrei imparato a cucinare molto presto e molto bene.
Avrei portato scarpe basse ed avrei avuto una bicicletta.
Avrei letto quanto più potevo ed avrei letto per mia sorella.
Avrei scritto poesie nelle carte di caramella.
Avrei scritto senza rime.
Avrei conosciuto un ragazzo alla fermata della corriera.
L'avrei trovato bello ed oltremodo ardito.
Mi avrebbe corteggiata con galante ostinazione.
Avrei abilmente, amabilmente rifiutato.
Mi avrebbe dato un bacio prima di partire per il fronte.
Avrei atteso.
Avrebbe sperato.
Avrei spedito cento e cento e cento lettere. Tre cartoline. Un paio di fotografie.
Avrei sofferto un po' la fame.
Avrei avuto un po' paura.

Avrei.

Avrei gioito del suo ritorno.
Gli avrei tenute strette le mani sempre.
Avrei detto sì, lo voglio.
E poi due figlie, un cane e qualche gatto.

Se fossi nata nel 23, come mia nonna, adesso avrei novant'anni e ricorderei poco e niente di quel che non mi importa, vedrei le mie nipoti sempre deperite ed avrei sempre il giusto aneddoto dolceamaro da tirar fuori quando due lacrime sincere si devono versare e non si sa da dove cominciare.