sabato 11 maggio 2013

Diario della donna di una rock star

Con questa storia che era artista ci ho fatto i conti tutta la vita.
Intendo questo suo bisogno di innamorarsi quasi necessario, inevitabile.
Se avesse dovuto smettere si sarebbe trovato in quello stato statico, sarebbe morto, almeno creativamente. Aveva sempre il timore di annoiarsi.
Alla fine io lo sapevo, e quando ho detto sì, l'ho detto a tutto il pacchetto.
Anche perché se ami una persona, fai quel che puoi per vederla felice, e se il prezzo da pagare per la sua luce negl'occhi era che ogni tanto a ridergli dentro fossero stranezze non mie, non mi sembrava poi così alto.
E forse non lo era davvero.
È difficile da spiegare perché è stato difficile da capire anche per me, che ad un certo punto
mi sono ritrovata qui, nel mezzo delle cose.
Sono cresciuta in una famiglia tradizionale, normale, dove c'è un padre, una madre, i litigi domenicali e le cene di natale, il tutto condito da un senso morale di stampo cattolico, con qualche modulata eccezione.
Sebbene io poi abbia preso la mia strada, il fantasma degli sposini di zucchero su un millefoglie a cinque piani, in certe notti non mi faceva dormire.
In quelle notti che passava nel suo studio a dipingere, a creare, a scopare la protagonista del suo ultimo racconto stesa sul tavolo in massello, tra il diluente e il computer acceso.
Cercavo di tirare tardi, più tardi di quanto lui avrebbe potuto, se anche di cinque minuti sarebbe bastato. Ma niente, è un po' il leitmotiv della nostra storia, per quanto me la raccontassi, arrivavo sempre prima io. E aspettavo.
E quando tornava ero arrabbiata, incazzata, quasi lo odiavo.
Ma ovviamente non dicevo niente, il più delle volte fingevo anche di dormire.
Entrava nella doccia e un quarto d'ora dopo mi dormiva accanto.
Mi abbracciava sempre.
Sempre mi lasciavo abbracciare.
Niente valeva quel momento lì. E tutto l'odio defluiva insieme al docciaschiuma.
Mi sentivo stupida?
A volte sì, quando avevo voglia di essere tenera, di mostrargli una dolcezza o di regalargli uno di quegli stupidi sogni su un ipotetico futuro, non lo facevo presa dal pensiero di non essere la sola e completamente infastidita dall'idea che quella dimensione per me tanto importante per lui non avesse più valore di una canzone da scrivere.
Ma non sempre, a volte.
Altre volte andavo oltre e dargli un bacio era così bello che chissenefrega, mi sentivo fortunata lo stesso.
Malgrado. Sebbene. Nonostante.
Stare accanto ad un uomo così non è semplice ma non è semplice nemmeno stare insieme ad una donna come me.
Non sono stata la casalinga anni cinquanta che preparava torte di mele in attesa del ritorno del coniuge fedele ai propri bisogni.
Tante volte sono scappata e altrettante è venuto a riprendermi.
Mi ha seguito esattamente come ho seguito lui.
Nel bene e nel male.
E se ripenso per cosa ne è valsa la pena, non ho molti dubbi:
le domeniche pomeriggio.
Ognuna di quelle interminabili e lunghissime domeniche piene di una disperatissima noia.
Annoiarsi.
Insieme è stato bellissimo.





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