lunedì 28 febbraio 2011

Settembre "17

Permettete che mi asciughi i capelli.
Dunque, parliamo di mercoledì scorso.
Sono le ventuno e quindici circa.
Mi trovo al primo piano del grande ristorante presso le Murate.
Sono in compagnia di M, il mio ex-compagno di liceo, ed A, un'amica comune.
Non frequento M da almeno due anni, ma in occasione della nostra rinnovata amicizia, abbiamo deciso di cenare insieme.
M ha dimostrato un eccessivo interesse per quell'incontro.
Mi ha sottolineato più volte, la necessità di vedersi.
Ho l'impressione voglia dirmi qualcosa di importante, ha fatto accenno soltanto vagamente, al mio lavoro...
Quindi no, non avevo idea di cosa succederà poi.
Aspettiamo i caffè, quando un uomo, alto, sulla trentina, capelli brizzolati, viso glabro e spigoluto, vestito di nero, con un lungo cappotto, si siede al nostro tavolo, di fronte ad M.
A. non è sorpresa.
Io rimango ad osservare la scena.
Quest'uomo, che io mai avevo visto prima, dice ad M, che sia inutile opporsi, che nessuno avrebbe potuto fare assolutamente niente, che tutto sia già stato deciso, che il meccanismo sia già stato innescato...
M sbianca chiaramente.
Suda freddo, è incredulo e irrassegnato.
L'uomo ripeteva "Non c'è più niente da fare. E' troppo tardi"
Ci alziamo tutti da tavola, sotto cenno di M, intenzionato ad uscire.
L'uomo in nero si presenta a me e mostra già conoscere bene il mio nome.
La cosa non mi piace ma non ho tempo per fare domande, o meglio, per ottenere risposte.
Scendiamo in fretta e ci dirigiamo verso l'uscita principale: sbarrata.
Io non capisco, mi giro verso M che è atterrito ma non sorpreso.
Affatto sorpreso.
Cerco di passare, ma subito due camerieri mi chiedono "gentilmente" di tornare al mio tavolo.
M mi afferra per un braccio, mi guarda negl'occhi e mi dice:
"Tu devi trovare un modo per uscire. Non preoccuparti per noi"
Le mie domande sono state inutili.
Mi sono diretta verso l'uscita sul retro e lì c'erano delle persone ad impedirne il passaggio.
Tuttavia, con una scusa tragica, riesco ad uscire fuori.
E' già buio e la testa scoppia di interrogativi irrisolti.
Cammino e non riesco a smettere di pensare.
Squilla il telefono.
E' mia sorella e mi chiede dove sono, perché mi aveva visto nel ristorante e voleva salutarmi ed ora non mi trova più.
Io la liquido in fretta.
Le dico che sto arrivando.
Riattacco.
E non so che fare.
Torno indietro.
Cammino a testa bassa, cercando una soluzione che non trovo e vedo un gruppo di ragazzi, vestiti tutti uguali e soprattutto armati.
Uno di loro mi guarda.
Io so chi sono, sono mercenari, soldati di strada.
Scarti dell'esercito nazionale, auto organizzati in questo periodo di crisi politicomilitare.
Pattuisco un prezzo e loro mi aiutano volentieri.
Arrivati di fronte all'edificio, lo spettacolo è orrendo.
Si sentiva gridare.
Il sangue grondava anche dalle finestre.
I mercenari si guardano e dicono
"non sarà peggio della battaglia del ''12 "
Sfondiamo l'entrata ed io...
Scusate.
Insomma, sfondiamo l'entrata e lo spettacolo che ci si offre è tremendo.
Ci sono corpi squartati ovunque.
L'odore del sangue nauseante.
E ci sono degl'uomini.
Degl'uomini in divisa che afferrano le persone e le consegnano nelle mani meccaniche di questi orribili mostri robotici.
Ho visto coi miei occhi accartocciare un uomo come si fa con una bozza mal riuscita.
Vedo L nascosta sotto un tavolo.
Comincia lo scontro tra i mercenari e gli uomini in divisa.
L è spaventata, piange ed io la rassicuro, fingendo una consapevolezza tranquilla.
Lei si fida di me ed io non ho nessuna risposta.
La faccio uscire grazie al capo dei mercenari che un attimo dopo averla messa in salvo, viene afferrato ed infilzato da un lungo palo.
Scappo.
Veloce e lontano.
Vago randagia per alcuni giorni.
Per strada non c'è nessuno.
Nessuno sa cosa sia successo e perché.
Da una vetrina di un negozio di elettronica, vedo un servizio del telegiornale.
Vedo i Mercenari, infilati uno per uno in una tela metallica.
Come perline.
Le riprese del tg sono aeree.
Nessuno ha il coraggio di avvicinarsi.
L'esercito ha preso il comando della Nazione e consiglia ai cittadini di non uscire di casa almeno per le prossime 48 h.
Mostrano il luogo del nuovo insediamento.
Io lo conosco.
E' vicino, molto vicino, a dove andavo al mare da piccola, coi miei genitori.
Mi sembra strano ma non ho tempo per pensare.
Ritrovo la mia auto e vado.
E' tutto deserto.
La radio non prende e sento il peso dei giorni di vagabondaggio.
Vedo la fortezza.
Soldati armati ovunque.
Io sono sola e disarmata.
Scelgo la via della diplomazia.
E due nerboruti soldati mi afferrano e mi tengono le braccia piegate dietro la schiena.
Io chiedo di vedere il loro capo e loro, dopo una pausa breve ed uno scambio di sguardi, mi infilano una specie di moneta in tasca e mi portano in una stanza enorme e vuota.
Un grande macchinario satinato viene portato di fronte a me.
Rimango immobile.
Sola di fronte a questo pezzo levigato di metallo.
Emana freddo.
D'un tratto si aziona.
Si accende, non so, comincia ad emettere luce.
E mi attira a sé.
Mi tiene stretta, legata da una dolorosa forza elettrica.
Mi fa male ogni parte del corpo.
Sento la scossa penetrare ed avvolgere ogni singolo organo.
Ed è in quel momento che ho capito.
Che ho visto tutto.
E' lì che ho ricevuto tutte le risposte.
Ho perso i sensi.
L'ultima cosa che ricordo è mio nonno che mi dice
"A volte si è la persona giusta solo perché ci si trova al posto giusto nel momento giusto"
Ho sicuramente azionato io il riempimento della vasca ed anche l'assurda temperatura del liquido di ripristino.
Non lo ricordo ma è categoricamente impossibile che sia stato qualcun altro eccetto me.
Soltanto io ho la competenza necessaria per farlo.
Poi siete arrivati voi.
Sì so chi siete, ma non posso seguirvi.
Però voi potete fare qualcosa per me.
Trovate M. e dategli questa.
Lui saprà cosa fare.
In cambio...
Beh in cambio vi prometto che uscirete di qui.
Vivi.




giovedì 24 febbraio 2011

Appuntamento col Destino

"Stesso posto e stessa ora?"

"Certamente."

Ma che vuol dire "certamente"?
Razza di sgrammaticato, è uno stramaledetto avverbio che così solo non vuol dire assolutamente niente.
Vago ed incerto...
Falso ed abile.
Al solito.

"Allora a  più tardi."

Insistere è inutile.
Sarà pure tanto potente ma in fin dei conti...

Parlare con lui, anche solo per telefono, mi da una strana sensazione.
Mi fa sentire dentro il vuoto e l'universo intero insieme.
La voce mi esplode dal mezzo del petto e la gola si stringe in un colpo.

All'inizio era tutto più teso.
Ogni singola parola era calibratissima.
Ed un po', lo temevo.

Adesso...
Adesso sono successe tante di quelle cose, che è diventato un gioco a carte scoperte.
Alla pari.
Quasi.

Lui.
Conosco il suo compito.
So quale sia il suo ruolo.
Mi rendo conto che certe cose le faccia perché deve, non perché vuole.
Però conosco anche lui.
Bene come nessuna mai.
E so che in fin dei conti, farmi girare, un po', gli piace.
Annoda i miei fili col sorriso sghembo sulle labbra.
Ed ogni disastro è la sua firma.
La sua presenza, a suo modo, nella mia vita.
Non lo approvo.
Non avrà mai il mio plauso.
Ma lo capisco.

E mi tiene così.
Sospesa.
Sul filo del rasoio.
Sull'orlo del crollo.
Ed in cuor suo, se ne ha uno, spera che io smetta di farlo.
Spera che smetta di insistere.
Spera che smetta di dirgli che, in fin dei conti, è lui che sceglie.

E' per questo che fa di tutto per abbattere le mie convinzioni.
E' per questo, che mi invita in questa danza di illusioni effimere ed esiti reali.
Contorti.
Orribili.

E per un po' ha funzionato.
Per un po' gli ho creduto.

Poi ho imparato.
Ho visto.
Ho compreso quale fosse il mio potere su di lui.
Ed è lì che ho smesso di temerlo.
Ed'è da lì che mi ha voluta come non mai.

Ed eccolo che arriva.
Con passo lento e cadenzato.
Sempre più vicino.

"Ti ho fatta attendere a lungo?"

"No..."

"Mi ami ancora?"

"Certamente."

mercoledì 23 febbraio 2011

Niente Flash.

Click.

Lei dorme ancora.
Il sole, tagliato dalla serranda, le riga più e più volte la schiena. Nuda.

Click.

I capelli le incorniciano il viso, per metà affondato nel cuscino.

Click.

Le ossa del bacino appena accennate affiorano dalle lenzuola.

Click.

Troppo vicino.
Primissimo piano di ciglia sbattenti.

Un sorriso leggero.
Uno sbadiglio.
Un sorriso più aperto.
Lo sguardo fatto sereno sentendo il rumore della moka pronta.

Click.

Click.

Click...

lunedì 21 febbraio 2011

Ecco cosa accade a non ricevere il bacio della buonanotte...


























C'ero io, intenta a mettere in salvo tutti i passanti per la piazzetta davanti casa.
Non casa mia questa.
Quella in campagna, nel paesino.
Quella con la facciata gialla e la fontana incassata nel muro.
Insomma io stavo lì al cancello e facevo entrare persone che poi si radunavano in giardino ed in casa.
Poi arrivi tu, con qualche amico di quelli simpatici, resi seri dall'imminente pericolo.
E mi chiedi se è casa mia, se potete entrare ed io annuisco doppiamente.
Poi mi prendi da parte perché sai che siamo noi a dover fare qualcosa.
E in quel momento, il pericolo, il male, si presenta di fronte a noi, sotto forma di una bellissima e terrificante lince.
Io tremo, impallidisco, sudo freddo tutto in un istante.
Tu lo stesso ma mi afferri la mano e mi dici che dobbiamo camminare, dobbiamo farla uscire.
E così facciamo, e scappiamo nel viale del bosco ed il pericolo sembra già lontano.
Finché non rispunta scattante da una siepe.
Ci voltiamo lenti e acceleriamo il passo, ma lei è più veloce.
Mi volto e la vedo saltarmi addosso.
Cado a terra e la bellissima bestia passa il muso sul mio collo nudo.
Tu ti fermi, impietrito.
Intanto questo felino indugia a sbranarmi, gioca coi miei capelli...
Ed io ti dico che ti voglio bene, che te ne ho voluto da subito, da prima di conoscerti meglio.
E tu mi dici che non vuoi ascoltarmi, che non è il momento per certi discorsi.
Allora rimango scornata in punto di morte, pensando a come scacciare la bestiola.
E vedo una donna, scostante, antipatica, atta a sciacquare dei piatti in quel che ha tutta l'aria di essere un lavandino in granito da campeggio.
Mi ha vista e continua a sciacquare.
Non muove un passo, non piega ciglio.
Tu con un umido stratagemma distrai l'animale.
Ed io lo indirizzo verso la donna.
Ce ne andiamo.
Mi batte forte il cuore.
Anche a te.

Poi mi sveglio.
E capisco.

venerdì 18 febbraio 2011

Lungi da me l' essere bacchettona, ma cosa c'è di più bello di un sorriso pulito e dei capelli profumati?


Se sei una femmina ed in linea di massima, le tue caratteristiche fisiche rientrano nella media, a circa quattordici anni di vita, il mondo cambia d'un tratto.
Le gambe si allungano e somigliano molto più a vere gambe che a stecchi con giunture.
La vita si affusola e si forma lo stacco che nel pancino delle bambine non c'è.
Il viso si distende, perde la turgidezza paffuta, gli occhi si aprono, le labbra si fanno più pronunciate e il sopracciglio diventano due.
Ovviamente non è una metamorfosi tra scie luminose e musichette incantevoli alla Saylor Moon.
E' un processo orribile, di pianti e drammi interiori, di brufoli e jeans preferiti che non coprono più le caviglie.
Una sofferenza. 
Ma poi c'è la rivalsa dell'Eva.
Da ragana dell'ultimo banco a sinistra, con l'acquisto del primo reggiseno ( non top, proprio reggiseno) compi il passaggio di casta, l'evoluzione naturale, diventi..."desiderabile".
E d'improvviso basta un sorriso per un invito alla festa più bella, bastano due parole per un' uscita al cinema ed un vestito più corto è il pass per il meglio e subito.
E poco importano tutte le sere passate a sfogliare romanzi Austeniani o a scrivere in cerca di sé, guardando la luna dalla vasistas.
Il paese dei balocchi è tutto intorno e basta solo sbattere le ciglia.

Sembra tutto perfetto. 
Finché, in un giorno di calo ormonale, ti rendi conto che non è così che vuoi comunicare.
Non è sullo splendore divino del tuo corpo che vuoi la vera attenzione. 
La vuoi su te. Su te di tutti i giorni.
Su te che hai messo i tacchi per farti bella per lui e che appena lo vedi inciampi slogandtoti una caviglia.
Su te che stai facendo un discorso serio, incurante della strisciata di dentifricio che ti riga il volto.
Su te che non sai mangiare un kebab senza sembrare un suino al trogolo.
Su te che anche se hai il visino d'angelo, russi come un trombone.
Su te che leggi libri e ti senti toccata dentro.
Su te che ti sbatti in mille modi per essere meritevole.
Su te che hai sentimenti, emozioni e competenza.
Su te. Che è molto meno e molto più di quello splendido e divino corpo.

E per un po' magari pensi di sfruttare il sistema, di dare al mondo quello che chiede, quello che si merita, che per te non costa niente perché tanto sai quanto vali e chi sei veramente.
Ma alla fine, chi sei veramente, lo perdi di vista.
Ed è lì che scegli.
E' lì che prendi in mano le redini della tua condotta di vita.
E' lì che comprendi di cosa tu abbia maggiormente bisogno.

Nessuna delle due scelte è sbagliata. E non è sicuramente definitiva.
Contro la Pigrizia umana, fortunatamente la vita ci offre costante rimedio.
Veniamo e saremo continuamente stimolati da pungoli che ci porteranno con altissima frequenza a rivedere le nostre posizioni. Ed è giusto così.
Senza bisogno di giudicare nessuno.
Perché in fin dei conti, quando noti una frivolezza, non sai cosa ci stia davvero dietro.

Ecco.Detto ciò, ieri sera stavo maluccio e il digitale terrestre mi aveva, e mi ha tuttora, censurato la visione dei canali Mediaset, impedendomi di prendere visione dell'agognato Match Point e costringendomi alla paccottiglia di Sanremo, ottimo solo per alimentare il mio cinismo e la mia misantropia.
Siamo in un periodo sociopolitico di fermento, forse qualcosa sta davvero cambiando, e la rimonta dei valori del genere femminile tornano a farsi sentire.
Il senso della Donna sta tornando a galla agguerrito più che mai ed affamato di rispetto e meritocrazia.
Sento l'eco delle suffragette, sento il sangue ribollirmi nelle vene, sento di poter abbandonare la matita da occhi...
Sento i passi dell'ennesima showgirl che shakera le sue forme al silicone, contornata da ballerini vogliosi e immersa nel plauso della folla, sulla tv nazionale.
E' spettacolo? E' solo spettacolo?
No.
E' sbagliato.
E' solo sbagliato.

sabato 5 febbraio 2011

Sciupafiabe.

Non voglio fare un discorso a discapito della categoria, però ora basta...
A me la vita piace, tantissimo.
La amo proprio.
Ecco ma mi piacciono lo stesso, un casino, anche le favole...
Mi piace leggerle, scriverle, disegnarle e soprattutto, adoro che mi si raccontino...
Mi piacciono tanto da aver reso certi personaggi, parte integrante di me.
E stasera, presa più dallo studio che dal senso fiabesco, mi sono resa conto che uno dei miei personaggi preferiti è una persona che non vorrei mai essere.

Ed è Wendy.

Peter è quel bambino che un giorno ha deciso non sarebbe più cresciuto, ok?
E' il suo perchè. Il suo bene e male. Il suo.
Lo dice dall'inizio. Lei lo sa benissimo.
Eppure, usando la sua abilità di rammendo e l'abitudine a raccontar novelle, una volta svoltata la seconda stella a destra, è tutto un susseguirsi di mezze frasi e punzecchiamenti morali per, di fatto, cambiare la di lui natura.
E lo fa sembrare pure una cosa giusta...
"Oh Peter, ma io devo crescere, mica mi basta che sbaciucchi il ditale, o ti prendi le tue responsabilità oppure io ed i fratelli che mi son portata dietro, torniamo a casa..."
Ed io ho sempre trovato triste questa favola, perché alla fine lei se ne andava e non poteva stare con Peter e l'amore finiva e l'unica ad essere felice era quella stronza di Trilly.
Wendy è proprio odiosa.
Se almeno avesse scelto la maturità losca di Uncino, se si fosse invaghita di lui e fosse diventata la sua depravata compagna, avrei potuto, in cuor mio, salvarla...
Invece no.
Con questo non dico che non si possa cambiare o che P. faccia bene a far come fa (sebbene un po' lo pensi)
Però lui è così. Sincero.
E si merita una che lo ami e lo scelga per com'è.
Che lo aiuti coi bimbi sperduti, che lo segua svolazzando per pattugliare l'isola, che si prenda cura di lui in quanto compagna ma che sappia stargli dietro.
Che è un po' quello che sarebbe giusto succedesse...
Però noi donne, ora non generaliziamo, sicuramente c'è chi così non fa, abbiamo la tendenza alla modifica, al perfezionamento... e le caratteristiche che all'inizio erano il motivo per cui ci siamo avvicinate al Peter della situazione, diventano quel "però" che se non ci fosse, filerebbe tutto liscio.
Rimanere giovani, almeno un po', è molto più complesso che sposarsi un responsabilissimo impiegato di banca.
Wendy.
No, grazie.