lunedì 27 agosto 2012

Breve Dialogo Semplice


In uno di quei barrettini sulla spiaggia, quelli tutti di legno, quelli in cui alle quattro e mezza fanno la schiacciata e le ciambelline, quelli col pavimento sabbioso su cui puoi camminare anche senza ciabattine, chiedo un caffè e una mezza naturale.

"Signora..sei fidanzata?"
"...no"
"Ma sei bella!"
"Che carino, grazie mimmi..."
"Sai io quando vedo una che mi piace la bacio! A te ti bacia mai nessuno?"
"Mah... ultimamente insomma..."
"Magari dove stai te li fanno diversi! Non essere triste signora!"

Mi dice che è bello l'orecchino che ho lì, sull'ombelico e poi prende un maxibon e torna a giocare coi suoi amichetti che ridacchiavano e dicevano che parlavo buffa.



venerdì 24 agosto 2012

Vado a parole

Sailor Crusca.
Non nel senso degli All Bran.
Cioè se avessi una compagna sarebbe Sailor Devoto-Oli, non Sailor Bifidus...
Ecco sarebbe questo il tipo di Sailor che sarei.
"Potere del Cristallo Semantico, vieni a me" griderei strizzata in un abitino da educanda, tenendo in mano uno scettro esagonale a due punte, una rossa ed una blu.
E infonderei il senso del congiuntivo, ucciderei qualche "cioè" di troppo, combatterei strenuamente contro le "k" e difenderei il peso delle parole, di tutte le parole che conosco ed anche di tutte le altre.

Io ho un rapporto con le parole.
Avevo scritto "strano" in prima battuta, ma è un aggettivo che, al momento, non capisco molto bene, quindi l'ho soppresso.
Ho un rapporto di amore/odio, di dipendenza.
Tensione.
Momenti nei quali ne ho bisogno, un bisogno soffocante.
Ed è bisogno di darle come di riceverle.
E momenti nei quali le detesto, non ne sopporto nemmeno la vista.
Soffocante diventa la loro presenza.
Superflua.
Ridondante.
Pleonastica.
Insopportabile.

Potenti.
Potentissime.
In ogni caso, queste parole.

E sì, abbondano frasi fatte sull'importanza dei gesti, del fare, dello sporcarsi le mani con la vita.
Ed è tutto giusto ma dipende che significa per te una parola.
Io per tirarne fuori alcune, devo mettere le mani nel sangue.
E pronunciarle è una bellezza infinita e doloroso e devastante insieme.

Ci sono stati giorni lunghi quanto lontani, nei quali a cullarmi è stata la tristezza dell'inefficacia delle mie parole dette e scritte.
Ricordo la mia faccia smunta, stremata per averle estratte dalla radice più sincera del mio io ed averle porte con dolcezza insensata o rabbia o amore e non aver ottenuto nulla più d'un pugno vuoto, pieno di silenzio.

Ma il silenzio ha un peso pure lui.
Solenne, assenso, assente anche.
Violento il calare.
Dirompente lo spaccarsi.

E quando accade, quando si frantuma, vedi.
Vedi quel che c'era dentro.

Oh.
Un paio di parole.

mercoledì 22 agosto 2012

Questa è la tua mail.

"Devo rispondere alla mail"
E' una frasettina che mi si accende in testa, appena spento il mac.
Ed ovviamente è tardissimo, ho passato due ore a cazzeggiare tra pigrissimi like e a sbavare dietro siti di gente che fa od è cosa vorrei fare ed essere io ma anche meglio.
Quindi penso due righe che mi paiono proprio proprio geniali e mi addormento cullandomi nell'illusione che "la scriverò domattina".
Poi "domattina" mi sveglio male perché ho dormito un po' storta, con le manine ripiegate e sono dolorante e svogliata, quindi è tutto un "dopo" che non arriva mai.
Poi lo sai, odio le mail.

Però la schermata grigia del blog di google mi fa sentire a casa, mi fa sentire accolta in un luogo dove sono sempre la benvenuta, mi fa sentire voluta bene, e allora ti rispondo qui, più serenamente.
Che poi ovviamente sto generando un post di quelli così sinceri che ogni apprezzamento sarebbe imbarazzante, ma lo sai, i miei post migliori sono quelli senza like, in apparenza.
Una massima che nella mia vita si può espandere in diversi settori.

Ho anche pensato che potrebbe risultare sconveniente scrivere i cazzi miei così, poi ho anche subito pensato "quando mai i cazzi di qualcuno che li racconta tranquillamente sono di comune e gossippesco interesse", poi sono nella fase shalla della vita, motivata dall'amore per certe cose che faccio e scopro, quindi, fondamentalmente, faccio quel cazzo che mi pare senza il minimo senso d'ansia di giudizio, nemmeno del mio.

Suono, ma ho smesso.
Ho smesso un sacco di cose che mi piacevano perché non mi sentivo abbastanza brava, che poi non era vero, ma nel momento in cui devi scegliere se far fatica per qualcosa, semplicemente non ci stavo dentro. Non abbastanza.
Qualche tempo fa ho preso in mano la chitarra, dopo giorni in cui mi fissava storta, e ho suonato un pezzo di quelli forse un po' troppo commerciali, un po' troppo goticheggianti, un po' troppo diverse cose per fare la fighetta indie, forse, ma chissenefotte mi piaceva e ho attaccato a strimpellarlo.
All'inizio faceva cagare.
Ma dopo un paio di giri ho cominciato a canticchiare ed è venuta fuori, e anche se non era proprio uguale all'originale, ho capito - sai quando capisci espressioni ovvie che hai sempre detto? tipo senti un click nella testa e bum, le hai capite davvero...- insomma ho capito che significhi "propria interpretazione".
Non ho una gran voce, non so nemmeno troppe canzoni a memoria, la memoria in generale non è il mio, non questo tipo qui almeno.
Però ho sentito che quella canzone ce l'avevo, era anche mia.
E poi ti ho pensato.
Continuavo a suonare e pensavo a tutte le cose che in questo breveimmenso tempo hanno riempito lo spazio immensobreve tra di noi.
La canzone cambiava, diventava un'altra, e poi pensavo a quanto io riesca a pensare intensamente una cosa ed il suo opposto, quanto ami il punto chiaro della situazione e quanto invece lo detesti, quanto ami l'implicito e a quanto desideri la luce del sole sui gesti e a quante volte abbia cercato di arginare questo dualismo col solo risultato di una diga frantumata da una personalità disturbata, impetuosa e contorta quale la mia.

Eppure sono una ragazza semplice.

E ti prego, non ridere.

In realtà è tutto come la spirale di Fibonacci.
Sì che dopo che l'ha scoperta tutti a dire "eh, bravo, sta dentro a un trilione di cose! cioè lo vedi? è ovvio che questo quadro è bello, è in rapporto aureo!"
E sì vabbè occhèi, ma estrapolare la formula da una conchiglia mica è tanto ovvio.
Gli sarà venuto il mal di testa a guardare tutte le cose, osservare i nessi, scorgere da lontano la regola alla radice prima di estrapolarla, di coglierla...
Secondo me sì, si svegliava la mattina e prendeva due aulin a stomaco vuoto.

E quindi, mentre arpeggiavo, pensavo che è così che vivo questa parte di vita, con il mal di testa da Fibonacci. Cercando di definire entro linee certe, l'equazione di ogni cosa.
Perché ho questa fissazione di dover capire che cos'è per me ogni legame.
Ho la smania di verità costante.
Ed anche se gioco sporco, beh devo saperlo per bene.
Scorgere il limite del mio spazio d'azione, e di quello di chi mi sta di fronte.
Ed è per questo che poi faccio casino, che mi arrabbio e penso che conoscerci sia stata l'idea più malsana che mi sia mai venuta in mente!
Fondamentalmente per il principio che genera l'odio nel mondo.
Perché non capisco.

Ma forse ho capito.
Ho capito che forse non devo capire niente, che la verità è come un pruno che non riesci a togliere con le pinzette - ne so qualcosa- e quando sarà il momento farà tutto da sé...
Certo è una lunga incubazione dalla piacevolezza di un travaglio plurigemellare talvolta...
Però tanto per precipitare nell'ovvio, tutto va come deve, quindi tanto vale prendere le cose come stanno senza comprimerle a sangue in convizioni, definizioni, aspettative o regole non adatte a qualcosa di, fondamentalmente, molto spontaneo.

Wow.

L'ho detto.
Cioè l'ho pensato.
E l'ho scritto anche.

Ed ora mi sento leggera come una modella americana, di quelle che a piedi uniti, tra le cosce ci passa un cane al salto col bastone in bocca.

Ti voglio bene.
Ti voglio un bene non a forma di bene.
Ti voglio un bene a forma di ogni stranezza, di ogni episodio, di ogni puntata, di ogni canzone, di ogni colpo di matto che il nostro sceneggiatore inserisce in questa telenovela argentina dorata.

Ogni gradino che abbiamo salito, coi nostri tempi, sincopati e fuori sincrono, visti nella totalità della gradinata, ora che almeno io sono su un pianerottolo - anche tu ma sicuramente su un altro- mi sembra una prova di forza infinita. Non ho il fiatone ma non è nemmeno agile come una passeggiata in collina.

Ora ho perso il filo, ma forse ho scritto facendo contento Joyce e il suo stream of consciousness, e quindi niente in questo discorso è riconducibile al filo logico d'Arianna che per me, nella mia vita, è solo un ottimo, se non il migliore, shottino da Eby's.

Siamo agli sgoccioli di questo flusso di parole dense di un significato immenso e poverissimo e non scriverò nessun saluto perché questa mail che avrei dovuto scriverti non parlava di addii o arrivederci, o pianti alla stazione.
Parlava di questo nostro ordinatissimo casino e basta.
Perché il riassunto delle puntate precedenti magari può sembrare noioso, ma ogni passaggio che vedi pensi "io c'ero, l'ho visto, l'ho vissuto!" e allora visto che a quello c'hai pensato tu, io ho scritto a vanvera perché non sarei mai stata all'altezza della tua digitazione.
Alla fine sei proprio uno scrittore.

A presto.

G















martedì 21 agosto 2012

Sei tornato, Eroe.

Esse, Fisico magro, andatura lenta, capelli spettinati. Come sempre.
Si ferma di fronte all'entrata del locale.
E' sempre lo stesso, pensa, però si vede che è bruciato.
Guarda in basso. Un istante. Entra.
Tutto come prima.
Quasi.
M sempre sul panchetto di legno in fondo al bancone, lo stesso boccale di birra scura, sicuramente non il primo e forse anche la stessa camicia.
R e i suoi amici smilzi a giocare una partita a carte, senza soldi, ma densa di rancori atavici,
un gioco di bari iniziato molto prima della guerra e che forse la guerra aveva reso solo più sporco; nessun vincitore, come sempre.
D passa lo straccio sul bancone, che è proprio come prima, solo che B non c'è appoggiato coi gomiti, c'è una sua foto appesa al muro.
Esse guarda dritto D che quando lo riconosce fa quella sua espressione piena di dolcezza e malinconia che da un omone grosso e barbuto certo non t'aspetti.
Esse abbozza un sorriso e D gli indica di là a destra, la porta sul retro.
Esse muove due passi e la porta si apre.
Jay.
Capelli raccolti, passo deciso, vassoio in mano.
Prende i vuoti al tavolino di R, un altro giro, dice lei, con lo stesso sorriso e lo stesso solito tono d'un interrogativo la cui risposta è palese.
Jay va verso il bancone, vede la faccia di D e si volta subito.
Si vedono.
Sorride, lei.
Gli spacca il cuore, come sempre.
Si vanno in contro, lei posa il vassoio, struscia la mano al grembiule e lo abbraccia proprio come sempre.
Lo sguardo di D, gli amici di R, R, anche quello stordito di M, un istante, su di loro.
Come se quella città, quella strada, quel locale, quelle persone, per un istante, avessero inteso di avere davvero un profondo bisogno che tutto sembrasse, almeno un po', come sempre.

-E' stata dura di brutto.-
-Sei tornato, Eroe.-








sabato 18 agosto 2012

Zara o Zarathustra?

Oggi mentre mi specchiavo in un camerino, riflettevo anche.
Pensavo a quante volte ero stata proprio in quel camerino, a quanti capi abbia provato, a quanti ne abbia poi davvero comprati, a quante aspettative abbia riposto nel vestito giusto e nel colore giusto per la serata giusta.
Cazzate filosofiche miste a mero materialismo.
Poi pensavo a che persona sia diventata, a che persona sia sempre stata, e a quanto non me ne importi più niente di piacere per il gusto di farlo.
Poi altre cazzate filosofiche.
Tipo: se non mi fossi sentita terribilmente esteticamente inadeguata, avrei mai letto un libro?
E poi un altro e un altro ancora?
Forse no, forse se a quattordici anni mi fossi sentita bella e serena non avrei passato le notti a scrivere roba -illeggibile- barocca densa d'aggettivi attempati e forse nemmeno mi sarei messa a cercare risposte, non mi sarei fatta neppure tante domande e sarei andata al Variety a vedere un film insieme al ragazzino che mi piaceva.
Mi ripeto spesso che sebbene il desiderio di conoscenza si porti dietro qualche effetto collaterale, valga comunque sempre la pena, che nonostante tutto, faccia crescere in modo sano e diventare migliore.
Sì. Ma forse no. Forse questa fissa di andare oltre, di voler scoprire sempre la verità, di non accontentarsi mai di quello che si vede ma pretendere sempre qualcosa in più da me e dal mondo intorno, forse non vale il mal di testa o di stomaco o di fegato che ne derivano.
Forse è sbagliato. Forse se le cose ti appaiono in un certo modo devi fartele andare bene e basta. Soffocare il pop-up interrogativo che balena in testa. 
Forse dovrei essere più semplice, più leggera.
Meno robusta sia fisicamente che nei confronti della vita.
Tenere in riga, a dieta il cervello, farlo diventare borderline anoressico.
E forse questi sono i discorsi giusti per questo scopo.
Ma, sempre forse, non è il caso di dar tanta corda a questo florilegio d'assurdità.

Prima o poi deciderò come la penso:
Se sia più giusto "così parlò zarathustra" o se non sia meglio fermarsi a zara e basta.

mercoledì 15 agosto 2012

RedHaired girls



Baciami come se guidassi una 1100


Ferragosto.
Se non sei sulla spiaggia di Gran Canaria o al solito bagno al Forte, a giocare a calcetto, bere l'estatè al limone ed evitare i gavettoni più ingrati, sei a pranzo coi parenti.
Ed è tipo natale, solo che fa caldo. Quindi alla fine c'è il gelato.
Mia mamma cucina troppo bene. Ha preso tutto dalla nonna.
E poi è troppo bella quando aiutandola a cucinare, la osservo mentre si perde in un ricordo sabbioso che la fa sorridere, apparentemente senza perché...
Oggi poi, a riempire la cucina, c'erano cento e una canzoni di altri tempi che le facevano brillare lo sguardo.
Così aspettando che il timer del forno suonasse, mentre a risuonare era questa canzone, ho fatto questo disegnino.
E pensavo che mi sarebbe piaciuto stare dentro ad uno di quei documentari in bianco e nero, messi in onda da rai storia, in cui intervistavano le ragazze in spiaggia, coi primi due pezzi a pois, ed era tutto ancora da scoprire, e se volevi parlare con qualcuno dovevi telefonargli a casa, e i baci andavano guadagnati, e sapevano di gelato, di "i miei non devono saperlo",  di passeggiatine mano nella mano e canzoni soprattutto in italiano...
Invece siamo nell'era di facebook, dei blog, degli sms, della geolocalizzazione, il gelato è sammontana, la musica a volte nemmeno sai cosa ti dice e se non ti bacia la prima sera è sicuramente gay.
Ah, l'evoluzione.

martedì 14 agosto 2012

L'amore ai tempi del colera

Il titolo non c'entra niente col libro, che non mi piace nemmeno tanto, c'entra solo perché volevo enfatizzare le fusa della mia gatta mentre ho il mal di gola.


La mia odietamo cugina mi ha regalato un ciondolino tipo questo che ho disegnato.
Perché sono viziata e quando sono malata, a casa in famiglia, soprattutto ad agosto, i famigli si impietosiscono vedendomi fissare le pale ferme del ventilatore, che se lo accendessi farei la gioia delle mie placche. 
Mi comprano anche il gelato. 
Tanto gelato da rendere inutili questi due anni di dura palestra.
Maledetti.
La mia odietamo cugina mi ha regalato il suscritto ciondolo dicendo

"te l'ho preso perché ti somiglia, è magrolina come te".

A quel punto,il rancore profondo nato per tutte le magliette che mi ha sottratto, tutte le scarpe prese in prestito e mai più riviste, tutti i trucchi e i profumi che hanno fatto la stessa fine si è dissolto, dipanato nel suono di una più che piacevole bugia.
Però spero che il potere glamour di questa bambolina dorata e anoressichina, influisca su di me nella notte e mi faccia pensare a desiderare cose inutili e costose come altre scarpe o borse nel momento in cui si paleseranno di fronte a me gelati al cioccolato extrafondente della mia gelateria preferita, ad esempio.

Stasera non ha funzionato, ma non abbiamo ancora dormito insieme, quindi non valeva.

Però prometto.
Da ora a natale, solo insalatina.
Niente carboidrati dopo le diciotto.
Niente dolcini con la cioccolata.
Niente hamburger di mezzanotte.

Perché se non va bene con design dovrò trovare un ricco marito che mi mantenga e per questo nobile fine ho bisogno che il mio caro lato b rimanga in questa 26, e che magari ci stia pure un po' largo...
No, in fin dei conti sono fan del "due cuori e una capanna", certo non che "due cuori e una villa con piscina" mi faccia proprio schifo ma non è poi così fondamentale...via vedo che lo spirito gretto, superficiale e materialista della mia FashionVoodooDoll sa facendo effetto.

Eccellente.

lunedì 13 agosto 2012

Credevo fosse amore, invece era un calesse.


Una volta avevo un fidanzato.
All'inizio mi piaceva e basta, non so neanche bene perché.
Però ridevamo tanto.
Una mattina gli mandai un messaggio e non mi rispose per tutto il giorno.
La sera gli telefonai e lui il messaggio, lo aveva letto la mattina.
Non gli sembrava abbastanza importante, semplicemente.
Un'altra sera mi disse "ti chiamo".
Ed io risposi " anche io ti amo".
Lui rise, io volli morire, semplicemente.
Quel capodanno gli dissi "ti amo"
"Anche io una cosa incredibile" rispose.
Poi il suo migliore amico mi dette un bacio dichiarandomi il suo amore.
Gli dissi solo del bacio.
Litigammo tutta la notte, semplicemente.
Non venne mai a prendermi a scuola.
Ci vedevamo il giovedì sera.
Il giorno libero delle badanti rumene, pensavo io.
Venne il giorno dell'orale della maturità.
Mi misi a piangere, mi abbracciò, ma doveva andare via subito.
E' normale, pensavo io.
La prima parte di vacanza insieme fu splendida, in un posto da incubo.
La seconda parte di vacanza insieme fu un incubo, in un posto da incubo.
Non venne a Parigi con me.
Ci andai coi miei genitori.
Non venne a prendermi alla stazione.
Aveva il torneo di beach volley.
Litigare.
Lasciarsi.
Non capirsi ma
Baciarsi.
Fare l'amore.
Da capo.
Lui faceva l'ingegnere.
Io facevo i disegnini.
Lui aveva mal di stomaco e mal di ginocchio.
A me faceva male il cuore dagl'occhi.
Per un "brava" avrei fatto cose impensabili per me.
Per un "brava" ho fatto cose impensabili per me.
I ritagli del nostro mondo erano comunque bellissimi.
C'era un fiume, un lago, un divano coi film.
Il mare di inverno sapeva d'amore.
Il mare d'estate sapeva di inferno.
Non venne con me a Barcellona.
Ci andai con le amiche.
Venne con me a Tropea.
Portandosi dietro la famiglia.
Litigare.
Lasciarsi.
Non capirsi ma
Baciarsi.
Fare l'amore.
Da capo.
Per un natale mi regalò una valigia gigante piena di pantoni.
"al mio unico amore" c'aveva scritto sopra.
L'aveva firmata con nome e cognome, ma gli credetti lo stesso.
Tre giorni dopo mi scrisse un messaggio.
Non sapeva se mi amasse o meno, scrisse.
A capodanno mi dette un bacio.
Doveva ancora pensare.
Partii per la Francia.
Tornai ma non aveva ancora pensato.
Lui faceva l'ingegnere.
Io facevo lettere e i disegnini.
Si scordò del mio compleanno.
Glielo ricordai.
Mi lasciò.
Ma non era vero.
Però doveva ancora pensare se mi amava.
Mesi dopo mi disse che mi amava di nuovo.
Ma non era vero.
Mi aveva detto che mi amava perché mi era morto il cane.
Passai l'estate da un'amica.
E fu la più bella di sempre.
Passò l'estate con gli amici.
Mi disse una bugia.
Tornai sperando d'essergli mancata.
Quanto lui a me credo.
Tornò contento della vacanza.
Odiai l'estate.
Con tutto il cuore.
Litigare.
Lasciarsi.
Non capirsi ma
Baciarsi.
Fare l'amore.
Litigare ancora.
Lasciarsi.
Io baciai un altro.
Lui si fidanzò con una di Tirana.
Un gran casino poi.
Per un "è te che voglio" avrei fatto cose impensabili per me.
Per un "è te che voglio" ho fatto cose impensabili per me.
Ci perdonammo.
Forse ci siamo detti che ci eravamo perdonati.
Mi sembrò perfetto.
Come le ginocchia che tremano a quattordici anni.
La mia amica stette male.
Ci fece prendere paura.
Lui strinse la mano d'una sua amica.
Non la mia.
Fu allora che il mio amore morì.
Non un attimo prima e non uno dopo.
Elettrocardiogramma non piatto, monitor spento.
Per forza.
Lui mi amò d'un amore perfetto poi.
Mai le cose che disse erano state tanto giuste.
Mai le sue proposte tanto invitanti.
Mai le sue carezze tanto dolci.
Perfetto.
Come mai era stato.
Come l'avevo sempre visto lo stesso.
Ora che era come volevo, non lo volevo più, mi disse.
E non era vero.
Io lo volevo ancora.
Volevo ancora baci.
Ancora abbracci.
Ancora amore.
Ancora mattine insieme.
Ma non potevo più.
Gli faceva male la testa.
Mi facevano male gli occhi dal cuore.
Non sono certo perfetta.
Non sono nemmeno come vorrei.
Non del tutto.
Mai del tutto.
Sono una che ci crede.
Sono una che torna.
Sono una che forse nemmeno se n'è mai andata.
Sono una Lassie.
Bionda col cuore di cane.
E per certe cose spacco veramente le palle.
Forse ero troppo complicata per uno complicato.
Forse ero troppo complicata per uno semplice.
In quella semplicità ci avevo visto la mia speranza.
Invece è stata la mia disperazione.
Smettere di fare l'amore.
Smettere di baciarsi.
Continuare a non capirsi.
Litigare.
Lasciarsi.
Ora ho un ex fidanzato
Dal quale non ho imparato cosa mi piaccia
Ma cosa no.
Però ho imparato a piacermi io.
Che non sono un'ingegnere, ho chiuso con lettere, faccio i disegnini e tutto il resto.




domenica 12 agosto 2012

Psicopatici si nasce.

Ho la febbre.
Sono le quattro.
Faccio un incubo.
Mi sveglio madida di sudore, con la gola che pareva avessi usato un boa dell' Amazzonia al posto della sciarpa.
Bevo dell'acqua quasi col contagocce.
Addio sonno.
Muoio di caldo.
Scendo in giardino e sembro una matta.
In pigiama, con la sciarpa e il computer nel giardino buio.
Alle cinque si sveglia mio babbo che mi riconosce dopo aver pensato che fossi un ladro.
Prendiamo il caffè insieme e mi chiede che mi è successo.
Ho sognato che frullavo una tetta col minipimer a una tipa.
Ah, figurati, io ho sognato che rinchiudevo la nonna e la zia in una prigione segreta che avevo costruito in cantina... i sogni son desideri no? com'è che faceva?

Ed è in questi momenti di psicopatia, illuminati dalla luce metallica dell'alba, che sento viva l'identità familiare.

venerdì 10 agosto 2012

giovedì 9 agosto 2012

Una Stella inciampa. Poi cade.

Ho messo addosso una maglia colorata.
E' rossoarancio, credo.
Era della mia mamma, devo averla presa da uno degli scatoloni di "roba di quand'ero giovane e magra" che era nella mansarda dove ora vivo io.
Ho diecimila magliette, ma sono tutte degli stessi colori, più o meno.
Svariate sfumature di grigio, ancor più di blu, qualcosa beige o marrone e nero.
Bianco poco. Rosa fosforescente una.
Però questa aranciorossa ora che sono un po' abbronzata non fa l'effetto malaticcio che risultò quando me ne appropriai, declassandola a "maglia per stare in casa".
Ma non l'ho messa perché mi stesse bene fuori, l'ho indossata perché mi accendesse dentro.
Sono vestitopatica.
Ed ho una memoria antipatica che lascia appigli improbabili e precisi.
Un tessuto, un odore, un profumo, un sapore, una parola, una pronuncia, un pensiero.
E bum.
Mi è venuto in mente un sms pieno di sogni inespressi che scrissi, mi vergogno di scrivere quanti anni fa, ed è triste e buffo vedere che penso la stessa cosa, ad una distanza infinita, ma senza affetto.
Poi mi sono messa a pensare che domani è San Lorenzo (che sì non è vero che le stelle cadono solo il dieci agosto, anzi ne cadono di più la settimana dopo e poi non sono stelle eccetera eccetera...)
e che non sono mai andata alla spiaggiata a vedere queste famose stelle, ero sempre da un'altra parte e col cielo coperto. Quando qualche volta con gli amici andavamo nei campi a fare i filosofi e tutti si esaltavano per averne vista "una enormeeee" io stavo guardando sempre dalla parte opposta del cielo. E' successo così tante volte che fino all'estate scorsa mi chiedevo se esistessero davvero queste "stelle" cadenti. Poi le vidi, ne vidi un casino, quasi a compensare gli anni di spiaggiate mancate. Mi prese tanto bene che ci scrissi un racconto in treno, a mano, che parlava di stelle cadute, farò prima a riscriverlo che a sbobinarlo.
Il desiderio espresso, sempre lo stesso.
Quindi complice la playlist di arpeggi malinconici di chitarristi romantici, un'aria di leggera tristezza ha riempito camera mia, dove sto piegando le magliette grigie e blu da mettere in valigia.
Per questo la maglia rossarancio, e vaffanculo la spiaggiata che mi resta tutta la sabbia nei capelli.

"speriamo che una stella ti caschi in testa, di punta." c'era scritto nel messaggio.





mercoledì 8 agosto 2012

Esse di Lisca

Con questa esse che non posso pronunciare
nostro signore c'ha scritto un sacco di parole.
Il sesso, il sonno, il sogno, la sabbia, l'assonaza, l'assonometria, la sostanza, il sinolo, la stranezza, il sillogismo, il sussurrare un segreto, anche scomodo.
Salire ma non scendere,  scoprire.
Stare.
Sospirare.
Sostenere, assecondare, sindacare, schierarsi, scegliere.
Scrivere sul soffitto, rispondere solo: sì.
Silenzio, sottile sospetto.
E i salti, i saldi, le tasche, i se senza i ma, le scale, le pesche, i suoni, i sordi, un sacco di sassofoni e le percussioni.
Gli spartitraffico, tutti i segnali, i massi, i sassi.
La strada.

ma soprattutto il sesso.

lunedì 6 agosto 2012

La signora in bicicletta

Mi sono concessa un paio di serate vecchio stampo a base di singolari shot, lunghe passeggiate, prati e chiacchiere amene al chiar di una luna enorme ed una, ma bellissima, stella cadente.
Ah, mi sono permessa anche un giorno di mare, così, per ravvivare l'abbronzatura mi ero detta, ed oggi sono qui, bollente e di una nuance gabibbesca sagomata dal costume, che, a quanto pare, mi si è spostato più volte.
Poi stamattina il destino ha deciso di farmi ritrovare la penna multicolore delle principesse in un momento nel quale sarebbe stato preferibile sembrare una persona rispettabile secondo criteri socialmente convenuti... ma stupirsi ancora sarebbe sciocco, no?

Invece una signora alla Coop mi ha offerto la perla di saggezza della giornata.
Stavo entrando e lei era lì fuori a caricare le buste sulla sua bicicletta.
Mi guarda e sorridendo mi chiede se sia sposata, io le rispondo semplicemente di no, ignorando il grappolo di pensieri sbocciatimi in testa, e lei mi fa diversi complimenti e poi mi dice :
"Signorina, prima di dire -sì lo voglio- si faccia mostrare l'estratto conto!"
Tornasse indietro lei lo chiederebbe subito a suo marito, solo che cinquant'anni fa non ci ha pensato.
Perché le donne non finiscono mai di fare, dice la signora, mai mai mai.
Ed io dovrei sposarmi per amore tenendo anche conto dell'estratto conto, dice sorridendo.
Mi regala qualche altro dolce complimento e inforcando la bici scompare seguendo la linea della ciclabile.
Io rimango lì, a dare un'occhiata veloce alla lista cercando di capire cosa ho scritto sotto 'pane' che non è decifrabile ma sarà certamente qualcosa di necessarissimo di cui sentirò sicuramente il bisogno una volta a casa.
E sorrido perché se ti accorgi dei dettagli che la vita ti offre, anche andare a fare la spesa con l'asfalto che ti fonde le suole delle ciabattine è un'esperienza preziosa.

domenica 5 agosto 2012

Pensandotibrucio



Ho caldo.
Una canzone strana mi gira in testa da tutta la sera e non sono annoiata ma mi annoio.
Vorrei un caffè più freddo di quello che ho appena preso.
Una camicia più sbottonata di quella che indosso.
Una camicia da sbottonare.
O da strappare, forse.
Ho caldo.
E il caldo mi fa smattare di brutto.
Mi trascina in pensieri che, di solito, evito con accuratezza.
E mi ci lascio trascinare senza nemmeno impegnarmi a fingere di non volere.
Perché alla fine,
voglio.

Mi infilo i jeans e le scarpe raso terra, quelle comode, perché di scomodo mi basta il chiodo fisso.
Esco.
E, al solito,
ci siamo soltanto io e la strada.
Ho caldo.

Sketch di me nuda e pigra come un bradipo narcolettico.